Il pareggio di Monza, comunque, offre anche altri elementi di riflessione. Tudor sarà tornato a casa con qualche domanda in sospeso. L’idea di sostituire Kamada e Luis Alberto, dopo venti minuti della ripresa, ha tolto spessore e contenuti alla Lazio. Lo spagnolo è rimasto disorientato quando ha visto lampeggiare il suo numero di maglia: non ha nascosto le perplessità e in panchina ha continuato a gesticolare. Kamada e Luis Alberto rappresentano la luce nel 3-4-2-1: un binario che funziona. Togliere entrambi in una fase cruciale del match ha impoverito la Lazio: loro due erano un problema, un pensiero fisso per Palladino. Il gol dell’1-0 di Immobile, che non segnava in campionato dal 10 febbraio, era nato proprio da un tiro del giapponese deviato sulla traversa da Di Gregorio. Cataldi, entrato al posto di Daichi, ha faticato: l’azione dell’1-1 del Monza è nata dopo un pallone perso dal mediano. Così come preoccupa l’involuzione di Casale, che ha tenuto in gioco Djuric in occasione del primo gol e l’ha perso in marcatura al 92’, quando il Monza ha risposto al 2-1 di Vecino.
Errori collettivi e fragilità, ma anche nervosismo, quello dimostrato dal Mago e prima ancora da Zaccagni, a cui Tudor ha deciso di rinunciare nello spazio di trentuno minuti. L’esterno era stato già ammonito e il tecnico ha voluto evitare il pericolo che la Lazio restasse in dieci. Zaccagni non gli ha stretto la mano e ha scaraventato a terra una bottiglia d’acqua. Tensioni e malumori che offuscano quella cultura della condivisione che sembrava recuperata. Tudor aveva lavorato per ricreare uno spirito da cooperativa: unione e rispetto. Nel suo primo discorso a Formello aveva chiesto di ragionare al plurale.
Ora la Lazio ha tre compiti: blindare la qualificazione in Europa League nelle ultime tre giornate, regalarsi - il 12 contro l’Empoli - una domenica di festeggiamenti per celebrare i 50 anni dello scudetto di Maestrelli e cominciare a pianificare una profonda ricostruzione. Il primo segnale di maturità per entrare nel futuro dovrà garantirlo la società. Come? Stabilendo una proporzione obiettiva tra le potenzialità della squadra che verrà allestita e le aspettative. Servono realismo e concretezza. Immaginare di avere gli strumenti per arrivare sulla luna senza una navicella spaziale, fissando traguardi impossibili, è fantascienza. Sarebbe un boomerang. E produrrebbe ancora una volta un nemico in casa: inutile generare pressioni che bruciano energie e serenità, inquinando i rapporti interni. Guardare anche nel giardino degli altri, al termine del mercato, per una oggettiva comparazione degli organici, aiuterà Lotito a uscire dai soliti equivoci. A Tudor sono bastati cinquanta giorni per allinearsi al pensiero di Sarri, che sosteneva come il secondo posto dell’anno scorso fosse stato il frutto di una serie di combinazioni favorevoli e di uno scatto di rendimento della Lazio superiore a ogni legittima previsione. Per inseguire la Champions serviranno acquisti di alto livello: è questa la sintesi del tecnico croato. Un invito a programmare le mosse con ampio respiro, individuando le pedine giuste per mettere la Lazio nelle condizioni di competere. Il salto di qualità, nell’ottica di un club abituato all’autofinanziamento, si può realizzare solo attraverso una strada: grazie a una straordinaria abilità nel pescare in anticipo giocatori di talento a costi contenuti, come hanno insegnato Napoli e Bologna con Kvaratskhelia e Zirkzee. Sperando che la famosa talent-room di Formello regali prima o poi qualche brillante intuizione. Investimenti e ambizioni. Ecco perché, come ha suggerito Tudor, la Lazio deve innanzitutto farsi una domanda e stabilire in maniera imparziale le proprie aspirazioni. Il 3-4-2-1 ha cambiato le dinamiche di mercato: una ricerca che si concentrerà su due difensori centrali, un mediano, un trequartista e un centravanti. Sempre che anche Tudor non debba pagare la tassa dell’indice di liquidità e sopportare un’attesa infinita per accogliere i giocatori in ritiro.