Doping atletica, Bongiorno: «Ritardi? Dimostrato doppio invio»

L'avvocato che difende 18 dei 26 atleti Fidal deferiti dalla Procura antidoping del Coni: «Prova diabolica su moduli reperibilità»
Doping atletica, Bongiorno: «Ritardi? Dimostrato doppio invio»© Getty Images
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ROMA - «Oggi abbiamo portato la prova diabolica, perché contrariamente a quanto sostiene la Procura, abbiamo dimostrato che i moduli (di reperibilità, ndr) sono stati inviati tempestivamente e che quando erano stati inoltrati quello era in realtà un secondo invio e che non era un ritardo come contestato». Lo ha riferito Giulia Bongiorno, avvocato che difende 18 dei 26 atleti della Fidal deferiti dalla Procura antidoping del Coni con l'accusa di "eluso controllo". Tra loro Anna Incerti, campionessa europea alla maratona a Barcellona 2010, e Silvia Salis, specialista nel lancio del martello, due dei quattro casi (gli altri sono Andrew Howe e Andrea Lalli) affrontati oggi innanzi al Tribunale antidoping del Coni. «Nella confusione e nel caso - ha specificato la legale - è stato scambiato il secondo invio come un ritardo, per cui noi abbiamo provato che c'era stato un primo invio. Io credo che di fronte a un processo che mancava del tutto di elementi probatori a carico, la difesa si sia fatta carico di smontare le illazioni fornendo una prova diabolica».

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Caso che potrebbe valere per tutti è quello di Silvia Salis, che tra tutti gli atleti finora esaminati «è tra quelle che aveva maggiore documentazione - rileva Bongiorno - perché era in possesso della prova del doppio invio. Addirittura era così chiara che in risposta al sollecito sottolineava (nelle mail inviate alla Commissione antidoping, ndr) che quello era il secondo invio». «Se sono fiduciosa? Se guardo i documenti sì, se guardo le accuse costruite è chiaro che prima aspetto», ha quindi concluso l'avvocato. Per tutti gli otto atleti finora esaminati le sentenze sono previste nel pomeriggio. «Per tutti gli atleti abbiamo fornito memorie con il doppio invio», ha aggiunto Giulia Bongiorno, rilevando che «con ciò spero si sia fatto capire che non è una tesi difensiva, ma magari è proprio la realtà dei fatti. E vale per tutti gli atleti, perché è un modo di interpretare il doppio invio».

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