Granfondo Story: Pantani trionfa al Giro d'Italia del 1998

Il trionfo del campione nelle parle di Pietro Cabras, inviato del Corriere dello Sport alla corsa
Granfondo Story: Pantani trionfa al Giro d'Italia del 1998
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Battuto Tonkovanche nella crono: Marco, un’impresache sa di leggenda. 

LUGANO — E Marco scatta, ancora, diamine forsenon è oggi la crono di Lugano, forse è domani e non ce l’hanno detto. Perché il Panta continua a stare in piedi sulla bici. Ma che ci fa quella ruota lenticolare? E intanto Pavel Tonkov è già dietro. Forse è davvero salita, quel budello di gente e quelle scritte per terra, e Marco Pantani che vola, tra i camper della sua gente, e i chili di vernice bianca che da tre giorni sono stati colorati con poche gocce di rosso, e sull’asfalto sconnesso ora sono rosa come la sua maglia.

No, non può essere una crono se tutti quei tifosi gridano e lui ha già staccato Pavel Tonkov, se Marco Velo sul traguardo ha già gli occhi azzurri velati di pianto, e il vecchio Podenzana non ci capisce più niente, e si commuove per quel bambino che sta correndo sul lago a prendersi il suo Giro d’Italia. Deve essere Marmolada o Mortirolo, non il lago di Lugano, se Beppe Martinelli si sbraccia, e urla, e singhiozza, daventi chilometri sta piangendo a dirotto nell’ammiraglia gialla dove c’è anche Alex Giannelli e Luigi Veneziano, il meccanico.

Ma se Alex prende i tempi su un foglio, e nell’altra mano ha una tabella con i riferimenti, allora forse non è salita, anche se Marco è sempre lì davanti, sempre sui pedali, e continua a rilanciare. E se hanno mandato Orlando Maini su quella macchina là davanti a prendere i tempi di Tonkov, e Maini urla via radio, urla che il russo non fa il fenomeno ma il fenomeno ce l’avete voi a fianco vestito di rosa, allora è davvero la crono che decide il Giro, e non abbiamo sbagliato giorno, anzi è davvero un giorno da sogno. Quando sfreccia sulla linea d’arrivo, Marco Velo ha il miglior tempo. «E’ una crono ideale, il percorso sembra più adatto a Tonkov, ma sono fiducioso, speriamo, dai».

Non spiega Marco, detto beautiful perché il suo problema è tener lontane ciurme di ragazzine, non spiega che la sua crono, come quella eccellente di Podenzana che alla fine sarà addirittura secondo assoluto, è la base della prova di Marco. Che i loro passaggi saranno i riferimenti per il Pirata, in quel momento sui rulli nel caldo di Mendrisio. Alle 16.10 Tonkov è sulla sua bici e si allena, la maglietta aperta, alle 16.10 Pantani è poco distante, la maglia rosa coperta dalla giacca della tuta, il cappellino all’indietro, gli occhiali di ordinanza.

Alle 16.15, Andrea Nieri, il meccanico Mapei, svita il portaborraccia dalla Colnago di Pavel, e Luigi Veneziano dà un’ultima stretta alle appendici sulla Bianchi di Marco, più alta rispetto a Trieste. E la sera della vigilia Pantani era andato dal meccanico per contare e visionare tutti i pezzi, uno per uno. Alle 16.20 Tonkov è in pedana, immobile, mentre Pantani compare poco dopo scortato da Leone Pizzini, che vinse un Giro baby nel 1976. Alle 16.22 Tonkov parte e conquista il centro della strada, nel centro di Mendrisio evita il pavé ed è subito in assetto, subito immobile, uno stile collaudato. Tre minuti dopo parte Marco, e si vede subito che la pedalata è un’altra: più agile, più scattante. Alla prima curva Marco parte in apnea, ovviamente in piedi sui pedali, l’assetto di guerra.

E’ subito sfida, anche se Martinelli dirà che è bastata la prima curva per capire che il Pirata aveva l’impresa cucita addosso. Sono le 16.30 quando arriva il primo rilevamento ufficiale, dopo tre chilometri Marco ha tre secondi di vantaggio. Ne deve difendere altri ottantotto, Martino comincia a piangere in ammiraglia mentre Pantani sta sfrecciando basso, la schiena al livello del parapetto sul lago. La tabella in mano a Giannelli, è lui quello preciso che fa queste cose, Marco deve cedere meno di 25 secondi ogni dieci chilometri 

ma sul lungo rettilineo che porta al ponte, il Pirata continua a scattare, a rilanciare, mentre Tonkov sembra imbastito in un rapporto duro che non riesce a spingere come altre volte, ma forse è solo un’impressione. «Dobbiamo aggredirlo e sorprenderlo con una partenza a razzo» aveva detto Martinelli al suo uomo, e il Pirata è una furia, e anche quel dosso diventa la Marmolada, e dopo nove chilometri Pantani è in vantaggio di nove secondi su Tonkov.

Novantacinque, novantasei pedalate al minuto, ma non bisogna essere tecnici e puntuali come Cassani che in Tv spiega perché Marco non può perdere, come a Montecampione aveva preannunciato la crisi di Tonkov; non bisogna essere specialisti per vedere che Pantani è irresistibile, e Tonkov va ma non vola, anche se i tempi sono gli stessi. Partire a mille per non dargli vantaggi psicologici, aveva detto Martino al Panta, e quando a venti dalla fine il Pirata ha otto secondi di vantaggio, si capisce che è fatta, e lo capisce anche Tonkov. Il ct della Nazionale, Fusi, gongola sul traguardo: «Come lo spiego? Marco è più forte, tutto qui». E allora le tabelle possono andare a farsi benedire, nessuno toglierà più quella maglia rosa all’omino che sta facendo impazzire l’Italia.

Non gliela porterà via Tonkov, come non gliel’ha portata via un tracciato creato per Zulle, totalmente anonimo in una crono che non sente più e che andrà tra le braccia di Sergio Gontchar. A sette dalla fine sbaglia una curva, Pantani, ma è un attimo, perché subito dopo c’è l’unica salita vera in 34 chilometri trionfali, e in salita il Pirata decolla tra la sua gente, dove ci sono le scritte rosa degli amici romagnoli, e se Tonkov per un attimo lo appaia in una classifica a distanza, subito dopo gli è dietro di nuovo, come è stato sempre durante tutto il Giro.

E non fa paura nemmeno quel cane che schizza via tra la gente e gli passa due metri dietro: Marco sbanda ma continua sereno, lo spavento è tutto nell’ammiraglia, e il meccanico spiega che il cane era «del colore di un cane che corre». E ormai è delirio, perché a sei chilometri dalla fine Pantani è ancora avanti, e sta facendo una crono pazzesca, sta vincendo sulla montagna più cattiva del suo Giro, una montagna che non ha pendenze, una salita da cinquanta orari, da ruote lenticolari, da Zulle e Tonkov ma non da Pantani. Alle 17.05 Marco Velo è sulla linea che si sbraccia, salta, e dietro di lui c’è la squadra in lacrime, e in fondo alla strada l’omino in rosa che continua a rilanciare, l’ultimo sprint è tra le braccia del suoi ragazzi. E’ terzo, e Tonkov è dietro. Era l’ultima montagna, e lassù c’è solo Pantani.


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