Golf, Dany Willet vince l'Augusta Master

Dany Willet ha vinto il Master che Jordan Spieth ha perso
Golf, che spettacolo l'Augusta Master
di Maurizio Della Camera
5 min

ROMA – In questa 80esima edizione del Master di Augusta, tutti si ricorderanno il vincitore, l’inglese Dany Willett, ma anche il perdente, l’americano Jordan Spieth. Onore a Willett che ha giocato magistralmente gestendo i green difficili del percorso e le raffiche di vento che hanno caratterizzato le prime tre giornate, e segnando cinque birdie nel giro conclusivo senza bogey. Solido e aggressivo allo stesso tempo, non ha mai perso il controllo neanche quando si è ritrovato da inseguitore a preda. Ma tuti parleranno di come Jordan Spieth ha gettato in acqua la possibilità di vincere per la seconda volta consecutiva il Master naufragando nell’Amen Corner (quella parte di campo che va dal secondo colpo della 11a buca ai primi due colpi della 13° ndr).

La Cronaca:

L’americano era arrivato a giocare le seconde nove con 5 colpi di vantaggio sull’inglese. Tutto era sotto controllo: i legni non creavano problemi, il putt era magico come sempre e gli aveva regalato già 5 birdie,  gli avversari arrancavano dietro. Nulla lasciava immaginare il dramma che si sarebbe consumato nel giro tre buche.

Buca 10: Spieth manca il green della 10 finendo nel bunker laterale. L’uscita con il sand è un po’ corta, ci vogliono due putt per chiudere la buca. Nel frattempo, tre buche più avanti Danny Willett segna il birdie sul par 5 della 13 riducendo così il ritardo a 3 colpi.

Buca 11: L’americano tira il drive e finisce tra gli alberi. Costretto a perdere un colpo per tirarsi fuori dal bosco piazza il terzo tiro a meno di tre metri dalla buca. Per la prima volta il putt, che fino ad allora lo aveva salvato tante volte questa settimana, non entra. Un altro bogey. Intanto l’inglese realizza uno splendido approccio a poco più di un metro dall’asta della 14 e segna un altro birdie. Il distacco si è ridotto così ad un colpo solo.

Buca 12: Spieth ha di fronte il corto par 3 di 141 metri. Il nome di questa buca è “Golden Bell” (Capana dorata), ma per qualcuno come Tom Wieskopf o Greg Norman è stato risoprannominata “Golden Hell” (Inferno d’orato). E ora anche Jordan Spieth conserverà per sempre nella sua memoria le immagini di questo dramma: palla dal tee corto che rotola in acqua, droppaggio con penalità, mezza flappa in acqua, nuovo droppaggio con penalità, palla colpita in testa che finisce lunga in bunker, uscita dal bunker e finalmente palla in buca. Sette colpi, quadruplo bogey, addio Master, Amen.

Poco dopo Dany Willett, informato del significato dei boati del pubblico che aveva sentito, si presenta sul tee della 16 sicuro di avere davanti l’occasione della sua vita. Dal tee ferro otto, palla un paio di metri sotto l’asta, birdie. Quattro colpi su Jordan Spieth e tre sul compagno di gioco Lee Westwood autore di un bogey. Il sorriso che trapela sulla faccia dell’inglese rivela che il finale è stato scritto e sarà lui ad indossare la leggendaria giacca verde.

Le restanti buche, sebbene lascino ancora qualche chances all’americano, scorrono via lentamente e anche un po’ mestamente. In fondo gli spettatori americani erano pronti a festeggiare il loro idolo. Dopo Nick Faldo, tre volte vincitore, Dany Willet è il secondo suddito di sua maestà a vincere il Master. Ha colto meritatamente una vittoria che Spieth ha buttato al vento.

Se poi vogliamo fare un po’ di analisi, Jordan Spieth non aveva certo brillato lungo il torneo per il suo gioco. Sempre un po’ impreciso dal tee e con i ferri, certamente colpa anche del vento, era però salito meritatamente al vertice della classifica grazie ad un putt unico. Mentre gli altri arrancavano a decifrare i green di Augusta, quasi fossero scritti in antico aramaico, l’americano infilava un putt dietro l’altro disegnando curve perfette sui green ondulati e velocissimi di Augusta. Purtroppo però il putter si gioca alla fine della buca, e bisogna arrivarci sul green. alla fine Dany Willett è stato più regolare, senza troppi acuti durante i primi tre giorni, quando era importante non fare disastri con le raffiche di vento che spazzano il percorso, e con un inspirato ultimo giro, quando era il momento di attaccare, di tentare. Lui ci ha provato fino in fondo e la sorte ha premiato un campione.


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