Parisse: "Vinco per Parigi ma faccio il tifo per Roma"

Intervista al capitano azzurro che ha portato lo Stade Français in finale: "In Nazionale dopo i Mondiali? Non so"
Parisse: "Vinco per Parigi ma faccio il tifo per Roma"
Francesco Volpe
5 min

Il suo primo Bouclier de Brennus (scudo di Brenno) l’ha vinto nel 1893, quando in Italia non era ancora nato il campionato di calcio... Lo Stade Français oltralpe è più di un club di rugby. E’ un’istituzione, un simbolo, uno stile di vita. E la squadra più glamour del mondo, da quando l’ex presidente Max Guazzini la riportò al vertice all’insegna dello “showbiz”. Maglie rosa con disegni floreali o di Andy Warhol, i giocatori nudi sul calendario le “Dieux du Stade”, “I will survive” (la hit di Gloria Gaynor) a far da inno e colonna sonora. Altri cinque scudetti (in totale sono tredici), prima della crisi economica e del salvataggio firmato Thomas Savare, imprenditore nei servizi di sicurezza informatici. Un tunnel lungo quattro anni da cui il club è uscito venerdì con un risultato eclatante e un’azione simbolo: l’assist dietro la schiena di Sergio Parisse per la meta di Raphaël Lakafia, la prima banderilla piantata nel collo dei Galacticos del Toulon, campioni (uscenti) di Francia e tri-campioni d’Europa. In finale, sabato a Parigi (diretta Nuvolari, ore 21) ci sarà lo Stade, otto anni dopo e contro lo stesso avversario (Clermont). Ma con un capitano italiano: Parisse, appunto.

2007, Stade Français-Clermont 23-18. Parisse, lei c’era già.
«In panchina, arrabbiato nero. Avevo giocato tutte le partite, ma in semifinale Galthié mi spedì in tribuna. In finale entrai nella ripresa al posto di Mauro Bergamasco e ribaltammo il risultato».
E’ vero che tra i segreti della rinascita c’è Gonzalo Quesada, l’ex apertura dei Pumas che vi guida da due anni?
«Sì, ha plasmato un gruppo formidabile, puntando sulle piccole cose»
Racconti.
«Ha creato un clima di complicità tra giovani e vecchi, stranieri e francesi. Per dire: nello spogliatoio ogni straniero si cambia accanto a due francesi, per prevenire i clan. Ha istituito un consiglio di saggi, di cui io e il vicecapitano (Papé; ndr) non facciamo parte, che organizza cene, commina multe e così via. E magari, è successo, ti convoca per un allenamento e invece ti fa trovare un barbecue. Tutte idee che cementano la squadra».
E lei ha vinto la sua scommessa.
«Sì, avrei potuto andarmene quando scoppiò la crisi, avevo offerte, ma ho scelto con il cuore e sono rimasto a Parigi, perché sono attaccato al club e alla città. Arrivai che ero un ragazzo (22 anni; ndr) e qui sono cresciuto come giocatore e come uomo. Volevo lasciare il club ai livelli in cui l’avevo trovato. La finale mi ricompensa di tanti sforzi e di tanti sacrifici».
Lo Stade non è una squadra come le altre.
«Malgrado le difficoltà, l’identità glamour è rimasta. Scegliendo le maglie rosa, lo spettacolo, puntando sul pubblico femminile in uno sport tipicamente maschile, Guazzini ha fatto parlare dello Stade nel mondo. La filosofia della nuova dirigenza è più aziendale, ma quell’immagine è intatta».
Quanto è importante lo sport per Parigi nell’anno della tragedia di Charlie Hebdo?
«Fondamentale. Quel massacro è stato uno choc per il mondo intero, non solo per la città. Parigi è cambiata, c’è ancora tensione e una forte vigilanza. Gli scudetti del PSG nel calcio e nella pallamano e le nostre vittorie hanno riportato un po’ di serenità».
La squadra della capitale finalista con un capitano italiano: i francesi come l’hanno presa?
«Bene, con me sono sempre molto affettuosi. E non solo a Parigi. Certo, considerando la rivalità esistente, rappresentare l’Italia in Francia è un grande onore».
Sabato la finale scudetto, il 19 settembre Italia-Francia a Twickenham, quarti di Coppa del Mondo in palio: dovesse scegliere?
«Non chiedetemelo. Questa è la finale più importante della mia vita. Ora c’è il Bouclier, poi indosserò l’azzurro e darò il 101% per battere i francesi».
Cosa c’è nel suo futuro?
«Voglio continuare ad alto livello, divertendomi. La Nazionale? Sto riflettendo. Vorrei vivere alla grande una Coppa del Mondo che segnerà la fine di un ciclo. Per il dopo la scelta non è fatta».
O’Shea o Galthié al posto del c.t. Brunel?
«Galthié umanamente è un po’ particolare, ma tecnicamente non si discute. O’Shea non lo conosco di persona, ma con gli Harlequins ha fatto molto bene».
Labit, coach dei “cugini” del Racing, l’ha paragonata a LeBron James.
«Mi fa molto piacere, è un grandissimo. Ma io mi sono sempre ispirato alla simpatia e alla leadership naturale di Michael Jordan».
Roma o Parigi per i Giochi 2024?
«Roma. Per l’Italia sarebbe un segnale molto positivo».
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