Rugby, verso i Mondiali l'Italia s'aggrappa a Parisse

Conquistando lo scudetto a Parigi, il capitano azzurro ha confermato di essere un leader. E un vincente
Rugby, verso i Mondiali l'Italia s'aggrappa a Parisse
Francesco Volpe
3 min

“Se vado alla guerra, ci vado con Bimbo” diceva Georges Coste, il c.t. del risorgimento azzurro. Bimbo era (è) Orazio Arancio, indomabile gladiatore etneo. Lui, Giovanelli, Dominguez, i Cuttitta e tutti i ragazzi di quell’irripetibile generazione vincevano perché andavano alla guerra per qualcosa e per qualcuno. Il qualcosa era il miraggio dell’ingresso nel Sei Nazioni, il qualcuno era proprio Coste, l’uomo che aveva insegnato loro a vincere. Raggiunto il primo e raffreddatosi i rapporti con il secondo, quella Nazionale implose, anno di disgrazia 1999. Il rugby, anche nell’era del professionismo e dei contratti a cinque zeri, richiede che si combatta per qualcosa e per qualcuno. Per l’Italia che oggi si raduna a Villabassa in vista della Coppa del Mondo di settembre il qualcosa è nitido: conquistare finalmente il passaggio ai quarti. Ora resta da chiedersi chi sia il qualcuno.

Jacques Brunel, il c.t.? Ne dubitiamo. Il tecnico francese da ormai un anno, dal fallimentare tour nel Sud Pacifico, dà l'impressione di aver mollato i remi. Non lo diciamo noi, lo dicono i fatti e, non ultimo, il linguaggio (del corpo e non). Ha definito “inspiegabile” il crollo finale nell’ultimo Sei Nazioni (chi dovrebbe spiegarlo, se non lui?), ha seguito di malavoglia la Celtic League (era assente pure ai derby Treviso-Zebre) e per nulla l’Eccellenza, e ci chiediamo se sia farina del suo sacco la perlomeno discutibile filosofia di selezione dell’Italia emergenti, mentre in Francia si rincorrono le voci che lo vorrebbero a questo o a quel club. Il suo contratto scade a marzo 2016, nessuno in FIR ancora sa se lo onorerà fino alla scadenza.

Alfredo Gavazzi, il presidente federale? Macché, i suoi rapporti con gli azzurri sono al lumicino da quando, dopo il Sei Nazioni, ha deciso di tagliare i “gettoni” di presenza e ha detto di essere “stanco dei pensionati”. Come spesso gli accade: concetti condivisibili espressi male. E’ finita con una “rivolta” degli azzurri su twitter e un tavolo economico tra FIR e rappresentanti dei giocatori che, ci dicono, è lungi dall’essere chiuso. A tre mesi dal Mondiale…

E allora chi può essere il qualcuno capace di catalizzare il gruppo e condurlo oltre gli ostacoli, altissimi, di Francia e Irlanda? Quel qualcuno è probabilmente Sergio Parisse, il capitano della Nazionale, che sta vivendo la stagione più felice della sua carriera. Campione di Francia con lo Stade Français, considerato il primo al mondo nel suo ruolo (azzardiamo: alla pari con Kieran Read degli All Blacks), stimato all’estero più di quanto non lo sia in Italia, Parisse è l’immagine felice di un movimento che arretra ormai su (quasi) tutti i fronti: Nazionale, celtiche, emergenti, Seven e così via. Soprattutto, è un uomo abituato a vincere su un campo da rugby, cosa che alla maggior parte dei suoi compagni, purtroppo, riesce di rado. Un peso troppo grande per una persona sola? Forse, ma da qui alla Coppa del Mondo è l’unica fiche che c’è rimasta.

 


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