Italia: pericolo Atonio, un pilone e mezzo

La Francia a Roma con un gigante samoano di 146 kg! E' il secondo più pesante di sempre
Francesco Volpe
3 min

Il primo se lo sono costruito in casa, il secondo sono andati a pescarlo all’altro capo del mondo. Se eravate tra quelli per cui Sebastien Chabal era un orco, cominciate a ricredervi: non avete mai visto Uini Atonio. Al cui confronto le misure di Chabal (1.91 per 114 kg) fanno sorridere. Perché Atonio - notare l’assonanza con “atomico” - stazza 146 (quand’è in peso-forma) o 155 kg (alla fine delle vacanze) distribuiti su 196 centimetri. E non è una seconda linea, è un pilone destro! In Francia l’hanno già ribattezzato “le pilier et demi”, il pilone e mezzo. Nella storia del rugby si ricorda un solo giocatore più pesante di lui: Bill Cavubati, detto “Big Bill”, pilone figiano di 165 kg. Tredici anni fa lo vedemmo in azione (si fa per dire) per otto minuti contro l’Italia: un cubo.
    Atonio, lui, è tutt’altro che un soprammobile. Agilità sorprendente per un ragazzo della sua stazza, ma anche qualità tecnica e un carattere d’oro. Philippe Saint-André, contestatissimo c.t. della Francia, lo utilizza per lo più da “impact player”: 25-30 minuti nel secondo tempo, per abbattere difese già ammorbidite dalla stanchezza. Sin qui non ha fatto sfracelli, «ma fino allo scorso anno giocavo in ProD2 (serie B) e a livello internazionale tutto accade a velocità doppia», malgrado l’intero staff della Nazionale - tecnici, preparatori e soprattutto nutrizionisti - sia mobilitato per far sì che Atonio sia sempre in perfetta forma. «Contro l’Australia abbiamo preso una meta nel finale - ha raccontato a “L’Equipe” - Ho guardato il tempo: ancora cinque minuti! Ma è una vita! E mi sono chiesto: perché ieri ho mangiato quell’hamburger? Non ce la facevo più. E se avessi fatto perdere la mia squadra?».

BIG MAC - Atonio è così: candido e simpaticissimo. I suoi genitori sono samoani, lui è nato in Nuova Zelanda. Gioca dall’età di 4 anni, «costretto da mio padre», ha studiato al Wesley College - il college di Jonah Lomu, fucina di All Blacks - e giocato per le Samoa U.20. «Al liceo in matematica e fisica ero un disastro - ricorda - ma a teatro ero proprio bravo. Ho recitato Shakespeare, Otello, Aladino. Mi davano 300 dollari a spettacolo».
    Patrice Collazo, coach del La Rochelle, l’ha adocchiato a un torneo di rugby a 10, ad Hong Kong e l’ha portato in Francia quattro anni fa. Sulle rive dell’Atlantico, Uini s’è ambientato subito, complice la nutrita colonia locale di giocatori isolani. Lo hanno anche fatto capitano, «così ho dovuto imparare sul serio il francese». E nel novembre scorso, quand’è divenuto equiparabile, gli hanno messo addosso la maglia con il galletto sul petto.
    Il salto non è stato facile. In campionato ci vogliono tre uomini per fermarlo, nel Sei Nazioni ne bastano due... «Per abituarmi al ritmo del rugby internazionale ho lavorato sodo in palestra. Circuiti di esercizi ad alta intensità e yoga, che sembra facile ma ti fa fare una fatica tremenda. Per allenarmi di più ho sacrificato un po’ del tempo che passavo davanti alla Tv. E da McDonald’s, le rare volte che ci vado, non prendo più tre menù... solo uno». Hai visto mai che qui lo fermiamo con la gricia?
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