I segreti per una completa guarigione da un intervento al ginocchio

Come ottenere una totale "riatletizzazione" dopo una lesione articolare e un'operazione? Ne parliamo con il dottor Corrado Bait, ortopedico specializzato in traumatologia dello sport
I segreti per una completa guarigione da un intervento al ginocchio© REUTERS
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ROMA - Una caduta sugli sci, una distorsione durante il jogging o giocando a calcetto, sono solo alcune delle situazioni che possono provocare lesioni articolari al ginocchio e in seguito all'intervento è importante non forzare i tempi di recupero. Ma dopo quanto è possibile riprendere l'attività sportiva? E come ottenere una “riatletizzazione” completa senza ripercussioni sulla salute? Ne parliamo con il dott. Corrado Bait, ortopedico specializzato in traumatologia dello sport dell'Istituto Clinico Villa Aprica, azienda ospedaliera di Como che fa parte del Gruppo Ospedaliero San Donato.

Dott Bait, quali sono le tecniche più utilizzate per gli interventi al legamento crociato?
«Fondamentalmente sono due. Una prevede la ricostruzione del legamento attraverso il trapianto delle strutture tendinee dei muscoli del semitendinoso e del gracile (muscoli della parte posteriore della coscia); l'altra il trapianto dal tendine rotuleo. Entrambe le tipologie di intervento avvengono in artroscopia, dal momento che la tecnica a “cielo aperto” è ormai superata da decenni».

Quali le differenze tra i due approcci?
«Negli sportivi di alto livello si privilegia il trapianto dal tendine rotuleo poiché ha dei tempi di integrazione ossea un po' più rapidi: questo consente una rieducazione funzionale più accelerata. Si tratta di due o tre settimane di differenza, ma per un’atleta possono fare la differenza».

E per tutti gli altri?
«La stragrande maggioranza degli interventi avviene attraverso il trapianto del semitendinoso e del gracile, poiché generalmente è meno doloroso, con una validità meccanica sovrapponibile al tendine rotuleo. Anche l'aspetto estetico ne trae guadagno: la cicatrici, con l'utilizzo del semitendinoso e del gracile, sono molto meno visibili».

Tempi di recupero?
«Dipende dalla biologia e dall'età del paziente. Tuttavia l'approccio attraverso il trapianto del tendine rotuleo permette un recupero velocizzato. Se prendiamo l’esempio di un calciatore, già dopo 3 mesi dall’intervento può iniziare con l’allenamento in campo per riprendere l'attività agonistica nel giro di 5 o 6 mesi».

Cosa si rischia a forzare i tempi di recupero?
«Il problema più frequente è quello di una recidiva: una nuova distorsione può mettere a rischio l'innesto appena effettuato. La biologia deve sempre fare il suo corso e la fase di “riatletizzazione” è la più delicata».

Si sente molto parlare del ricorso alle cellule staminali.
«È vero, ma bisogna fare chiarezza: l’utilizzo delle staminali non va considerato un intervento miracoloso. Le cellule provenienti dal sangue o dal tessuto adiposo possono essere utilizzate, dopo una opportuna manipolazione, per una pluralità di scopi: dal consolidamento delle fratture alle patologie osteocartilaginee. Ma la cura è efficace solo nel caso di pazienti di età compresa tra i 20 e 40 anni, che possono contare su elevate capacità di rigenerazione cellulare. Oltre i 45-50 anni la capacità cellulare è decisamente meno efficace».

Alcuni sportivi del “passato” – da Roberto Baggio ad Alberto Tomba fino a Pierluigi Casiraghi – hanno dovuto interrompere la propria carriera a causa di problemi importanti al ginocchio. Con le tecniche di oggi sarebbe cambiato qualcosa?
«Dipende: quella di Casiraghi è stata una lesione drammatica, il suo ginocchio è letteralmente esploso. Anzi, il fatto che abbia potuto allenare una squadra di calcio, già di per sé è un successo. Probabilmente oggi avrebbe potuto risparmiarsi qualche intervento ma il risultato sarebbe il medesimo. Tomba e Baggio, invece, con le tecniche e le conoscenze di oggi in termini di rieducazione funzionale, con ogni probabilità avrebbero potuto ridurre i tempi e si sarebbero potuti preservare di più dal punto di vista fisico. Ma a questo domanda si può rispondere solo pensando ai progressi della medicina e della chirurgia. Basti pensare che negli anni '80 la rottura del menisco veniva trattata con la sua totale asportazione e l'immobilizzazione in gesso dell'arto: il risultato erano cicatrici enormi, rigidità articolari e artrosi assicurata negli anni a venire. Oggi si esegue una asportazione nella maniera più conservativa possibile e in artroscopia, con tempi di recupero decisamente più rapidi. La medicina fa passi da gigante, per fortuna».
 


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