Rizzoli: arbitri uomini soli <div>Preziosi i consigli di Cesari</div>

L'arbitro si racconta nella sua autobiografia "Che gusto c'è a fare l'arbitro. Il calcio senza il pallone tra i piedi"
Rizzoli: arbitri uomini soli
Preziosi i consigli di Cesari
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Valerio Rosa
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ROMA - «Uno dei problemi degli arbitri è che spesso, là in mezzo al campo, ci si sente tremendamente soli. I giocatori hanno i tifosi, i compagni di squadra, gli allenatori. L'arbitro no: non c'è nessuno con lui, nessuno pronto a perdonare i suoi errori, nessuno per sostenerlo o per difenderlo». Ha qualcosa di letterario questa particolare figura di uomo solo al comando, costretto a interpretare contemporaneamente più ruoli: il giudice che deve decidere in pochi secondi, senza il beneficio della moviola e del senno di poi; lo psicologo impegnato ogni domenica a dimostrare la differenza tra autorità e autorevolezza, rischiando l'odio dei tifosi e la severità dei giornalisti; lo sportivo che vive il paradosso di stare dentro ogni azione, senza mai poter calciare il pallone. Strano destino per uno che, nato attaccante, ha seguito il suo primo corso da arbitro solo per conoscere meglio il regolamento: stiamo parlando di Nicola Rizzoli, il fischietto dell'ultima finale mondiale e, stasera, di Lazio-Roma, il derby che vale la stagione. La sua autobiografia, "Che gusto c'è a fare l'arbitro. Il calcio senza il pallone tra i piedi" (ed. Rizzoli), offre l'interessante e inedito punto di vista dell'unico protagonista del calcio a non partecipare alla sarabanda di commenti, dichiarazioni e chiacchiere che riempiono il vuoto tra un turno di campionato e l'altro. I riti, le scaramanzie, le abitudini, i mille modi per concentrarsi la carica sono quelli di un qualsiasi sportivo; quello che colpisce è la quantità di informazioni da incamerare e di particolari da curare, per ridurre al minimo gli inevitabili margini di errore: è come se un arbitro dovesse affrontare una radiocronaca e, allo stesso tempo, sorvegliare e radiografare i comportamenti dei giocatori in campo, le loro furbizie e la loro scarsa consuetudine con le buone maniere. Ed è come se dovesse riprogrammarsi ad ogni salto di categoria: in Serie A, dove il rispetto dei campioni si conquista sul campo, le lunghe ramanzine ai più fallosi non sortiscono gli stessi effetti che nelle serie minori. Un percorso di crescita in cui lo aiuta il confronto con i colleghi più esperti. Il mito di Rizzoli è Collina, ma alcuni tra i consigli più preziosi arrivano da Cesari: «Certe volte ti metti in una posizione del cavolo e perdi di vista il pallone»; «Non dare mai le spalle al pallone, in A la palla viaggia veloce». Letto il libro, la percezione della figura arbitrale cambia un po', fino a convenire con l'autocitazione iniziale: «Quasi tutti quelli che parlano di calcio hanno giocato a calcio almeno una volta nella vita. Quasi tutti quelli che parlano di arbitri non hanno mai arbitrato una partita nella loro vita».

 


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