<br /> L’amaro compleanno del Cagliari e tre addii dati nel modo peggiore

Il 30 maggio del 1920 nasceva la squadra simbolo della Sardegna. Domani va in scena l’ultima partita di serie A che poteva essere il saluto finale per l’esperienza di Conti, Pisano e Cossu in rossoblù. Invece i tre non sono stati neanche convocati

L’amaro compleanno del Cagliari e tre addii dati nel modo peggiore© LaPresse
Vincenzo Sardu
7 min

CAGLIARI - Imprenditorialmente parlando, i sardi sono e saranno riconoscenti all'infinito verso la famiglia Giulini. Perché prima tramite il patriarca, il conte Carlo Enrico, poi con il giovane Tommaso, hanno creato e sostenuto una impresa fiore all'occhiello in una regione bastonata dalla miseria. Garantendo decine di posti di lavoro per altrettante famiglie del territorio, posti difesi persino durante una crisi che se altrove inizia ad annusare i pollini primaverili di una debole però chiara ripresa, alle latitudini isolane resta cupa e impenetrabile. Ma se dall'impresa e dal lavoro ci si sposta verso il calcio, lo scenario cambia radicalmente: qui siamo agli antipodi.

Il Cagliari che oggi ha compiuto 95 anni, essendo nato il 30 maggio del 1920, arriva da dodici mesi di errori su errori che hanno prodotto una retrocessione amara. Errori la cui responsabilità in parte si può attribuire a qualificati personaggi come Zdenek Zeman che, pur avendo potuto godere di margini operativi praticamente totali ha messo insieme la miseria di 13 punti su 21 gare dirette dalla panchina. Colpevoli sono anche troppi giocatori (soprattutto fra quelli scelti con logica random la scorsa estate) che si sono rivelati deludenti, tecnicamente e attitudinalmente, per il compito che era stato loro affidato. Ma anche le colpe di coloro delegati o incaricati di qualcosa, vanno ascritte per intero a chi quelle scelte ha voluto, compiuto e difeso con coerenza (?) persino quando ormai erano palesemente indifendibili. Dunque, al giovane presidente del Cagliari, Tommaso Giulini.

A voler riepilogare le scelte sbagliate, le strategie come le persone, non si sa dove iniziare, tali e tante sono le carenze. Si va in B anche perché la luna a volte si sveglia storta, non ci sono dubbi, ma in questo caso prendersela con la sfortuna sarebbe una ulteriore beffa per i tifosi. Né vale come attenuante lo status di una dirigenza esordiente, alibi annullato dalla pretesa - o dalla presunzione - di poter fare e soprattutto di riuscire a fare tutto, indovinando tutto. Il calcio non è una scienza esatta, ma chi lo maneggia con troppa nonchalance resta puntualmente con le mani scottate. Il Cagliari è una squadra retrocessa che esce a brandelli dal primo anno di gestione Giulini. Organico da ricostruire totalmente, col novanta per cento dei giocatori da rimpiazzare perché i prestiti non rimarranno, i senatori smetteranno, i pochi con appeal di mercato (Ekdal, Farias?) che saranno strappati al rossoblù. Con un entusiasmo popolare raso al suolo, un progetto strategico di cui non si vede traccia senza entrare ancora nel discorso nuovo stadio che invece sarebbe dovuto essere un asset preferenziale. Insomma, una valanga di errori davanti ai quali prima di invocare il ritodi voltare pagina, sarebbe stato doveroso presentarsi col cappello in mano davanti ai tifosi ai quali chiedere scusa. Non lo ha fatto nessuno, meno ancora lo ha fatto il presidente che ha preferito una eclissi invisibile al popolo, il quale proprio bene non l'ha presa.

Dagli errori, quando fatti in buona fede, ci si può (e ci si deve) rialzare. Invece, le tracce dei movimenti iniziali della seconda stagione dirigenziale di Giulini contengono preoccupanti cromosomi della prima. Un anno fa, da esordiente, pronti via scelse lui il tecnico. Stavolta, ha scelto un ds. Non sarebbe stato meglio prendere esempio dal passato e affidare l'una e l'altra incombenza a un esperto professionista del settore, come un qualificato direttore generale, ruolo di cui si è sentita eccome la carenza negli ultimi dodici mesi? Scegliere un ds (e sull'identikit si potrebbe anche obiettare) non vuol dire poter impostare il lavoro nel modo migliore, soprattutto se il conferimento dell'incarico arriva a fine maggio quando anche le pietre sanno che le società ambiziose iniziano a programmare la nuova stagione al più tardi fra marzo e aprile. E non vale il discorso che a quel punto si gioca e non si sa con quale esito conclusivo, perché basta tracciare due scenari, uno per la A e l'altro per la B, e si guadagnano due mesi anziché perderli. Con la nebulosa che avvolge la X collegata tuttora al nome del nuovo allenatore, c'è da sperare che quando il nodo sarà sciolto ci sarà ancora tempo per farsi un'idea dell'organico, cercare i pezzi mancanti (quasi tutti) sul mercato e non restare fregati ancora una volta. Perché, ove non fosse chiaro, il mercato è un lavoro di equipe, dove conta il parere dell'allenatore ma che non va lasciato solo a scegliere i pezzi.

Eppure non basta. In uno scenario deprimente e con l'outlook negativo, gli errori prolificano e si riverberano puntualmente sul morale già afflitto del popolo rossoblù. Non troppe settimane fa, Giulini ha svelato di anelare a una impronta identitaria per il suo Cagliari. Detto ciò, si è liberato di Pusceddu dalla Primavera, Matteoli dal vertice del settore giovanile, ora si libera di Cossu e Pisano più Daniele Conti che pur non essendo nato nell'isola è sardo quanto gli altri due compagni. Se questo è l'utensile scelto per sistemare il mobile, Giulini sta sbagliando alla grande. Sperando che a nessuno venga in mente di propinare la stucchevole tiritera del "dopo il campionato ci siederemo intorno a un tavolo" perché non reggerebbe.

Beninteso, è perfettamente lecito che una società decida di variare lo spartito tecnico e, quindi, cambi impostazione e nomi dell'organico. Ma c'è un "ma" pesante come un macigno, se in ballo ci sono giocatori che hanno speso chi due, chi tre lustri con quella maglia sulle spalle. E che pertanto sono, piaccia o no al presidente, diventati bandiere per la gente. Già, quella gente che ha dovuto ingoiare troppi bocconi amari causa i suoi errori. Per favore, non si venga a raccontare che c'entra il piccolo acciacco dovuto al pestone, l'età, il clima. Domani va in scena la partita che mette fine all'ultradecennale esperienza del Cagliari in serie A ma anche quella che conclude tre lunghe parentesi professionali e più che professionali. Di affetto, di emozioni, di gol, di arrabbiature, di maglie baciate come feticci. Anche in barella o moribondi sarebbero dovuti andare in campo, a costo di trascinarceli a forza se non consenzienti. Invece non convocati: un pessimo, incomprensibile e inaccettabile modo per sancire un divorzio che si poteva - e si doveva - gestire in modo migliore.

Certo, Cagliari non è Liverpool. Ma certe immagini ti scavano qualcosa dentro e vedere Anfield Road salutare in quel modo Steve Gerrard, immancabilmente farà breccia nei tifosi che vedranno un Sant'Elia sempre più desolato e vuoto, che non potrà in ogni caso dare un abbraccio di fine fatica a tre ragazzi diventati bandiere per la loro gente. Novantacinque anni, compiuti oggi. Mesi fa, Giulini ha sognato un Cagliari in Champions e nel nuovo stadio in occasione del "centenario". La gente si chiede se esisterà ancora un Cagliari, fra cinque anni, il 30 maggio del 2020. E di ironia ce n'è davvero poca.


© RIPRODUZIONE RISERVATA