60 colpi di Spillo: Inter scudetto con Mancini. Ma ci mancano gli Zoff e gli Scirea

Alessandro Altobelli compie 60 anni: «Ai miei tempi c'era gente di grande personalità, ora no. Io non avevo paura di nessuno, parlavo con i gol»
Stefano Piccheri
6 min

ROMA - «No, non voglio gli auguri, perché non si fanno prima. Ma se provo a guardarmi indietro posso dire davvero che ho vissuto 60 anni che neanche in un sogno avrei potuto immaginare così». È felice, soddisfatto e sprizza ancora tutta quell'energia che in campo lo ha portato a segnare circa 300 gol in carriera, tra Latina, Brescia, Inter (11 anni!), Juventus (1 anno) e la chiusura a Brescia, nel 1990. Alessandro 'Spillo' Altobelli compie 60 anni il prossimo 28 novembre, 30 passati sui campi di calcio, poi esperienze da direttore sportivo (Padova 1995/98) e da commentatore televisivo, da Mediaset a BeIN Sports in Qatar, dove ancora lavora e risiede: «Ma in questi giorni sono a casa, a Sonnino, un paese piccolo vicino a Latina, dove sono nato. Qui da ragazzino giocavo in un pezzo di terreno vicino a un burrone, se non volevi perdere la palla dovevi esser bravo tecnicamente. Ho rotto un sacco di scarpe e per questo motivo ho preso pure qualche schiaffone da mio padre, quando tornava la sera da Roma. Lui era un muratore e voleva che io facessi il macellaio. Praticamente giocavo contro il suo volere, ma ai calciatori di adesso manca proprio questo: manca la strada, mancano le tante ore all'aperto, mancano quelle furbizie che ti possono dare solo le ore e ore passate sui campi sterrati. E in campo si vede: c'è appiattimento, non ci sono i dribbling, la fantasia, l'improvvisazione. Bisognerebbe mandare i migliori allenatori nelle giovanili per recuperare il terreno perduto in Italia, tanto arrivato in Serie A ormai a un calciatore non devi insegnar più nulla. E poi dobbiamo tornare a essere noi stessi, paese di portieri e difensori. Sbagliamo a copiare gli altri, vorrei rivedere gente come Brio e Vierchowod».

DALLA CARNE AL PALLONE - E il macellaio Spillo lo ha fatto davvero, finita la terza media, a Latina, da un amico del padre. Ma quando il barbiere di Sonnino ha aperto una piccola squadra di calcio nel suo paese, Alessandro è tornato a casa, a fare il macellaio e il calciatore: «Giocavo con la speranza che mi prendesse la Fulgorcavi, per giocare e lavorare alla produzione di cavi elettrici e telefonici. Ma un giorno venne il signor Nando da Latina, voleva convincere me e il mio compagno Bernardini ad andare a giocare lì. Ci riuscì con un giro sulla sua 127 e un bel bigliettone da 50mila lire a testa. Da lì il mio sogno è diventato realtà».

FINO AL MUNDIAL - Latina, Brescia in B, poi l'Inter per oltre 10 anni, la Juventus, uno scudetto neroazzurro, due Coppe Italia,ma soprattutto il Mondiale del 1982, con il gol in finale contro la Germania, il terzo, dopo Paolo Rossi e Tardelli: «Che squadra, che giocatori, ma soprattutto che uomini! Zoff, il più grande di tutti con Albertosi. Poi Gentile, Cabrini, Bergomi titolare a 16 anni, poi Scirea e Franco Baresi, Conti e Causio. Ma ai miei tempi c'erano leader veri in campo, uomini prima che calciatori: ti parlo di Benetti, Oriali, Marini, Tardelli, ma pure Pulici, Graziani, Pruzzo e Beccalossi, un genio del calcio che oggi uno così non esiste in Italia. Questo manca al calcio di oggi, soprattutto da noi. Non bastano le qualità tecniche e fisiche, allora c'erano uomini con caratteri tali che in campo potevano andare pure da soli. Vogliamo parlare di gente come Breitner? O Gerd Muller? O Zico e Rummenigge? Ecco cosa manca, la personalità!»

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MADE IN ITALY - Un calcio che non c'è più, campioni indimenticati, ma pure allenatori tetragoni, impermeabili a critiche, umori di gruppo e chiacchiere di piazza: «Gli allenatori italiani sono i migliori, lavorano ovunque, in nazionali e club, si adattano, vincono. Il gruppo è importante, ma un allenatore, se non sei saldo, ti può pure annientare, ti può minare la sicurezza, far mancare il terreno sotto ai piedi. A me non è mai successo, mi sono sempre ben difeso con i gol, io risolvevo i problemi agli allenatori, non temevo nessuno. Chiedetelo ai difensori che ho affrontato. Per sapere chi sia un vero attaccante forte, devi chiedere ai difensori, a nessun altro».

SICUREZZA MANCIO - E l'Inter, la sua amata Inter, secondo Spillo Altobelli ha fatto la scelta giusta: «Richiamare Mancini è stato decisivo. Magari non gioca un grande calcio, ma ha una grande difesa, ha creato subito un bel gruppo, tenace e di personalità, come lui. Gli attaccanti migliori in Italia? Li conosciamo bene. Icardi è un goleador nato e mi piace perché sa quel che vuole. Higuain è l'attaccante perfetto: i suoi movimenti, i suoi smarcamenti, andrebbero fatti studiare ai giovani. Dzeko è forte, ha ancora bisogno di tempo, ma è perfetto per giocare con Salah e Gervinho. Poi Mandzukic e Dybala, due che sono nati per giocare insieme e con un allenatore che non li manda mai allo sbaraglio».

TUTTO BENE, MA... - Auguri Spillo, uomo di campo e di gol, 60 anni di grinta e d'entusiasmo, con un solo grande rammarico: «Se potessi scegliere un regalo per il mio compleanno, vorrei rigiocare la semifinale d'andata di Coppa dei Campioni del 1980 a Madrid col Real. Perdemmo 2 a 0, ma mi fecero fuori con un gran calcione. Al ritorno vincemmo 1 a 0, non bastò. Un gran rimorso. Eravamo la squadra di italiani più forte di quegli anni, poi arrivarono gli stranieri: la Juve prese gente come Platini e Boniek, noi Prohaska, Hansi Muller e Juary. Peccato!».


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