ROMA - Quattro anni senza Morosini, quattro anni senza quel ragazzone dal sorriso contagioso, la cui vita, segnata dalla sfortuna, sembrava arrivata al punto di restituirgli qualcosa: aveva realizzato il suo sogno Piermario, era un calciatore professionista talentuoso e in ascesa, dopo aver vissuto un'adolescenza segnata dal dolore legato alle perdite dei propri cari: prima la scomparsa della mamma, a 15 anni, poi quella del padre, appena raggiunta la maggiore età. Ai due lutti si è aggiunto poi il suicidio del fratello, portatore di handicap. A Piermario era rimasta una sorella affetta da una grave forma di disabilità, di cui lui si prendeva cura con amore e dedizione.
LE INIZIATIVE - Ma quella sorte beffarda che lo inseguiva da sempre, lo raggiunse quel sabato pomeriggio del 2012, sull'erba dello stadio Adriatico di Pescara, nel posto in cui Morosini si sentiva più al sicuro, un campo di calcio.
IL PROCESSO - Probabilmente Piermario poteva essere salvato: quella cardiomiopatia aritmogena mai diagnosticata, la mancanza di un defibrillatore al momento del primo soccorso, il ritardo stesso nei soccorsi; tutto questo contribuì a non dargli scampo. Per la morte dell’ex calciatore del Livorno sono stati rinviate a giudizio, con l’accusa di omicidio colposo, tre persone: il medico del Pescara Ernesto Sabatini, quello del Livorno Manlio Porcellini, e del 118 di Pescara Vito Molfese. Il processo è ancora in corso.
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