Quattro anni fa, Morosini: aspetta ancora giustizia 

In sua memoria tra qualche giorno sarà inaugurato a Milano il primo centro avanzato di cardiologia dello sport e c'è una borsa di studio intitolata a suo nome
Quattro anni fa, Morosini: aspetta ancora giustizia 
Alessandro Aliberti
3 min

ROMA - Quattro anni senza Morosini, quattro anni senza quel ragazzone dal sorriso contagioso, la cui vita, segnata dalla sfortuna, sembrava arrivata al punto di restituirgli qualcosa: aveva realizzato il suo sogno Piermario, era un calciatore professionista talentuoso e in ascesa, dopo aver vissuto un'adolescenza segnata dal dolore legato alle perdite dei propri cari: prima la scomparsa della mamma, a 15 anni, poi quella del padre, appena raggiunta la maggiore età. Ai due lutti si è aggiunto poi il suicidio del fratello, portatore di handicap. A Piermario era rimasta una sorella affetta da una grave forma di disabilità, di cui lui si prendeva cura con amore e dedizione.

 

LE INIZIATIVE - Ma quella sorte beffarda che lo inseguiva da sempre, lo raggiunse quel sabato pomeriggio del 2012, sull'erba dello stadio Adriatico di Pescara, nel posto in cui Morosini si sentiva più al sicuro, un campo di calcio.

Un malore improvviso non diede scampo a quel 25enne dal cuore buono ma debole: si accasciò e non si rialzò mai più. Oggi, 14 aprile 2016, a quattro anni esatti da quel maledetto Pescara-Livorno, la memoria di Piermario è più viva che mai: proprio tra qualche giorno sarà inaugurato a Milano il primo centro avanzato di cardiologia dello sport, c’è una borsa di studio intitolata a suo nome e, proprio in virtù di quanto accaduto al giovane Piermario, numerosi campi e palestre si sono dotati del defibrillatore, strumento che può salvare la vita in determinati casi quando c’è un problema cardiaco.

MOROSINI POTEVA ESSERE SALVATO

IL PROCESSO - Probabilmente Piermario poteva essere salvato: quella cardiomiopatia aritmogena mai diagnosticata, la mancanza di un defibrillatore al momento del primo soccorso, il ritardo stesso nei soccorsi; tutto questo contribuì a non dargli scampo. Per la morte dell’ex calciatore del Livorno sono stati rinviate a giudizio, con l’accusa di omicidio colposo, tre persone: il medico del Pescara Ernesto Sabatini, quello del Livorno Manlio Porcellini, e del 118 di Pescara Vito Molfese. Il processo è ancora in corso.

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