Stirpe: Il Frosinone ha nostalgia di futuro

Alla vigilia dello scontro diretto di Verona il presidente ciociaro fa il punto della situazione. Dalla sfortunata retrocessione in B al nuovo ciclo firmato Marino, dagli investimenti sulla nuova squadra alle infrastrutture alla base del rilancio del club gialloazzurro, dal paracadute alla mutualità e alla riforma dei campionati. Ecco il pensiero di un industriale e uomo di calcio a 360 gradi.
Stirpe: Il Frosinone ha nostalgia di futuro© LaPresse
di Tullio Calzone
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ROMA - Andata e ritorno, con destinazione Serie A. Possibilmente. Ma senza fretta e con nessun obbligo prestabilito. L’obiettivo vero, piuttosto, è quello di corroborare una società già solida con strutture in grado di garantire un futuro adeguato alle proprie possibilità e alla propria dimensione. Ecco perché gran parte della ricchezza arrivata proprio dalla storica promozione nella massima serie di due anni fa è stata utilizzata per rinforzare la squadra, mentre i soci hanno investito risorse nella creazione di un centro sportivo e nella partecipazione alla nascita del nuovo stadio. Il presidente del Frosinone Maurizio Stirpe, elaborata la mancata salvezza, non si è lasciato affatto incupire da un insuccesso peraltro evitabile. Anzi, da questa retrocessione, che lui considera il frutto di errori diffusi e personali, ma anche di tante avversità o congiunture negative, scaturiranno nuove energie per insistere su un progetto che viene da lontano e guarda con fiducia al futuro. «Bisogna avere fame, tanta fame. Sono sempre le motivazioni a fare la differenza nella vita», ripete anche in questa intervista esclusiva al Corriere dello Sport-Stadio. 
Presidente Stirpe, come è stato questo nuovo impatto con la Serie B?
«C’è da metabolizzare del tutto la retrocessione, però è stato positivo. In questa categoria ci siamo trovati bene, è gestita molto bene. E’ un torneo che riserva insidie e sorprese, come già si vede».  
Un momento che lei pensava di rinviare o aveva messo in preventivo che il posto di una città e di una società della vostra dimensione non fosse tra le grandi?
«Quando siamo stati promossi in A la nostra prima preoccupazione è stata di fare calcio in modo sostenibile. Le infrastrutture sono state il principale obiettivo. Ci siamo concentrati a fare il nuovo centro sportivo e ad avviare una collaborazione con il Comune per costruire il nuovo stadio. I soci hanno investito in queste due strutture. Mentre i proventi della A sono serviti ad allestire una nuova squadra che potesse ambire a qualcosa d’importante. Vedendo anche il livello di competitività della A, sapevamo bene che non sarebbe stato semplice consolidare quella categoria. Ma abbiamo irrobustito dal punto di vista patrimoniale il Frosinone che sta meglio di quando avevamo vinto il torneo cadetto. Le criticità che avevamo prima non ci sono più. Abbiamo luoghi e strutture idonei a fare calcio a ogni livello e anche i tifosi avranno un impianto moderno e più fruibile». 
Quali sono stati i motivi di questo parziale fallimento in A?
«Io ritengo che abbiamo pagato oltre misura lo scotto del noviziato. Forse non ci siamo giocati bene le carte a nostra disposizione. Ci abbiamo messo troppo tempo a capire cosa fare. Eppure  avremmo potuto salvarci. E’ mancato un pizzico di fortuna in più». 
Darebbe nuovamente fiducia a Stellone sino alla fine o tenterebbe soluzioni diverse?
«Darei fiducia a Stellone perché era giusto fare così. Meritava quella opportunità. Errori ne abbiamo commessi tutti, io per primo. Poi i dirigenti, il tecnico, i calciatori. Ma forse avremmo meritato di salvarci ugualmente. Purtroppo quando non sei bravo, non sei neppure fortunato. Se c’è un rammarico è quello di non essere riusciti a sfruttare tutto il nostro potenziale».
Eppure il ciclo che si è concluso con l’allenatore capitolino è stato positivo: nuove risorse e una base tecnica rimasta quasi identica a quella che vinse la B valorizzandosi.
«Roberto è stato il tecnico che ha fatto meglio in assoluto nella storia del nostro club finora. Ma un ciclo finisce perché ognuno ha bisogno di confrontarsi con realtà diverse». 
Intanto Frosinone ha varcato l’oceano non solo per Sophia Loren e per la splendida interpretazione della Ciociara, ormai molto datata. Un effetto dei successi calcistici della città?
«E’ una cosa che mi fa molto piacere destare curiosità oltre i confini del nostro Paese. E’ gratificante il fatto che anche la stampa estera si occupi di noi. E’ chiaro che ciò comporta delle responsabilità. La Ciociaria non sempre è stata tenuta nella giusta considerazione. La A ha fatto parlare di noi in Cina, in Spagna negli Stati Uniti. Questa è una immensa soddisfazione che ci inorgoglisce e ci ripaga di tanti sforzi sostenuti».
Presidente Stirpe, è vero che alcune delle sue critiche al sistema, a volte neppure troppo celate, hanno generato effetti collaterali che non hanno giovato al Frosinone?
«Non credo che sia andata proprio così. Anche perché, diversamente, bisognerebbe abbandonare un movimento non più credibile. Io mi sono battuto per una visione meno opaca di certi meccanismi di questo mondo. Abbiamo bisogno di uscire fuori dall’autoreferenzialità e da una visione del calcio superata a mio avviso. Questo va fatto nel rispetto di tutte le opinioni e in modo democratico e trasparente». 
Dall’advisor per la vendita dei diritti tv al nuovo paracadute per chi retrocede dalla A, le criticità non mancano. Qual è il suo pensiero al riguardo?
«I problemi che crea una retrocessione dalla A alla B sono evidenti perché c’è un meccanismo che si porta dietro costi insostenibili e che andrebbe regolamentato diversamente. Gli ingaggi dei calciatori, per esempio, possono diventare l’anticamera del fallimento e in parte giustificano il paracadute così com’è. Ma questo cuscino protettivo, secondo me, si dovrebbe attivare attraverso una mutualità che coinvolga la A, la B e la Lega Pro».
Tornare al passato, dunque?
«Questo ammortizzatore deve essere impiegato per attutire gli effetti distorsivi della retrocessione. Se venisse utilizzato solo per rivincere la B, non andrebbe bene e bisognerebbe fargli cambiare destinazione d’uso. Insomma i soldi che garantisce non debbono riverberarsi con effetti distorsivi sul torneo successivo. Inoltre, serve un rapporto maggiormente collaterale tra le Leghe. Se restano mondi separati, che funzionano a compartimenti stagno, il sistema s’inceppa».
Domani c’è Verona-Frosinone, due corazzate candidate alla promozione che tuttavia partiranno da basi diverse anche dal punto di vista delle risorse a disposizione. Crede che sia necessario spartirle con maggiore equità queste risorse?
«Le cose sono state decise e oggi è così. Ma bisogna tener conto delle ragioni di tutti, ovviamente». 
Qual è l’altra cosa che cambierebbe di questa B che negli ultimi anni ha vissuto una trasformazione profonda e virtuosa?
«Il presidente Abodi ha avuto il merito di stabilizzare e accrescere i risultati che derivano da questo format. Io credo che abbiamo la necessità di avere risorse aggiuntive per sostenerci e ritengo improcrastinabile la riforma di tutti i campionati professionistici e tornare a due Leghe con A e B insieme. Non c’è ragione di un’ulteriore duplicazione, serve una cadetteria che svolga una missione all’interno di una stessa famiglia. E’ l’unica risposta possibile alla penuria di risorse. Ci sono troppi club professionisti, il sistema non regge. Dobbiamo passare a una A a 18 squadre, una B a 18/20 e una Lega Pro con due gironi da 20 e con un forte meccanismo di selettività all’ingresso. Inoltre la governace di una società di calcio deve essere trasparente e sostenibile».
Ci spiega perché ha scelto di non rivoluzionare l’organico affidato a Marino?
«Intanto la scelta di Marino nasce dopo quattro anni di gestione con un tecnico giovane. C’era bisogno non di un clone di Stellone, ma di un allenatore che avesse una concezione diversa, che potesse contaminare l’esperienza precedente. Questo per costruire un progetto alternativo e ugualmente ambizioso e valido. Di qui la scelta di non vendere il nostro patrimonio tecnico per ripartire da zero. Abbiamo saputo rinunciare a offerte importanti alcune anche dalla A per dei nostri giocatori. Ma ce lo ha chiesto la nostra gente». 
Dunque, questa volta è andato sull’usato sicuro, nessun giovane da lanciare. Ma come valuta il lavoro del tecnico siciliano?
«Marino dal punto di vista della professionalità ritengo sia un’eccellenza. E’ evidente che, essendo portatore di un sistema diverso di gioco, ha bisogno di tempo per assemblare vecchio e nuovo e avere la compattezza giusta per competere in B. Abbiamo ancora tanti margini di crescita e di miglioramento. Ma la direzione è quella giusta. Anche se bisogna correre».  
Al Bentegodi chi vince, presidente Stirpe?
 «Non lo so. Ma noi ce la metteremo tutta. Sapendo che il Verona è forte e attrezzato e Pecchia è un grande allenatore. Io lo avevo capito quando a fine carriera giocò da noi. Provai anche a trattenerlo, ma lui guardava lontano. Ma se la giornata è quella giusta, il Frosinone se la giocherà».
    Parola di Stirpe!


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