Gigi Maifredi, il mio calcio libero

A 70 anni, l’uomo che vendeva bollicine si volta indietro e rivendica un merito storico. Facendo una schietta autocritica sulla sua bruciante esperienza bianconera
Gigi Maifredi, il mio calcio libero
di Xavier Jacobelli
7 min

BRESCIA - Il tè verde si raffredda, ma poco importa. La facondia di Gigi è immanente. Ti avvolge e ti travolge con l’onda lunga degli aneddoti, dei retroscena, dei ricordi di un uomo consapevole di avere un grande avvenire dietro le spalle e lesto a professarsi testimone del calcio che rivendica di avere cambiato insieme con un coetaneo settantenne, boemo di nascita, a nome Zdenek Zeman. «Io e Zdenko siamo la vera zona champagne, gli altri sono derivati, Sacchi compreso. Arrigo giocava a cinque, è stato Berlusconi a suggerirgli di passare al 4-4-2. Lui è convinto che il fuoriclasse si debba adattare allo spartito dell’allenatore. Io, invece, ho sempre pensato il contrario. Chiedetelo al mio Baggio».

AMORE, BUGIE & CALCETTO - Maifer alias Maifredi ha poco l’aria del patriarca, però gli piace l’idea di entrare nella nostra galleria. Ci rivediamo dopo molto tempo. E’ dimagrito, gigioneggia (nome omen) da par suo, ti inchioda per quasi tre ore. Nell’affollata conversazione vanno e vengono, fra gli altri, Agnelli, Altobelli, Atalanta, Baggio, Banfi, Barcellona, Bernardoni, Bologna, Boniperti, Brescia, Campedelli, Canà, Casiraghi, Corioni, Cruyff, Dunga, Freuler, G.B. Fabbri, Gruppioni, Haessler, Heynckes, Julio Cesar Juve, Lippi, Mantovani, Maradona, Napoli, Montezemolo, Orceana, Orrico, Ospitaletto, Percassi, Pesaola, Pivatelli, Pugliese, Quaggiotto, Real Madrid, Schillaci, Silenzi, Tacconi, Villa. Il Mitico Villa s’intende. Il fiume in piena ha la sua sorgente nell’aspirante roccioso stopper di Lograto, comune di 3.838 abitanti a 16 km da Brescia, che, a 21 anni, si rompe il menisco proprio tre giorni prima di debuttare in prima squadra nel Brescia al posto di Tomasini che poi Nel 2003 in tv con il Maifredi Team ho inventato il mio Var Vorrei allenare un settore giovanile per tre anni avrebbe vinto lo scudetto con il Cagliari. «All’epoca, fine Anni Sessanta, mica recuperavi in tre settimane. Il menisco era una jattura che non finiva mai. Durava mesi e mesi. Così decido: mi faccio una squadra, la chiamo Real Brescia, ne divento il presidente e l’allenatore. Intanto, comincio a lavorare per l‘Alemagna, la Stock e la D&C: dai dolciumi e dai panettoni passo allo champagne, Veuve Clicquot Ponsardin, naturalmente. Il meglio che ci sia». Ride. Riattacca: «Nel frattempo, continuo ad allenare. Fra i miei giocatori c’è Tiberio Cavalleri, figlio di Renato, ds del Crotone, all’epoca in serie C, prima sotto la guida di Pirazzini poi di Pugliese, al quale facco da vice. Sì, il mitico Oronzo che ha ispirato la figura di Canà con Lino Banfi e la sua bizona...». L’interrompo: tutto si tiene. Sbaglio o hai recitato una parte nel film «Amore, bugie & calcetto»? C’erano Claudio Bisio, Angela Finocchiaro, Claudia Pandolfi, Andrea Bosca, Pietro Sermonti... «Beccato. E non ero solo: allenavo gli Old Boys con Mannini, Schillaci, Rizzitelli, Ivano Bonetti, Mannari e Tacconi. Ci siamo divertiti un casino. La vita è anche un gioco: sennò che gusto ci sarebbe?».

IL ROLEX D’ORO - E poi? «E poi torno ad allenare i dilettanti nel Bresciano, mollando il lavoro con lo champagne: Omas Pontevico, Lumezzane, Leno (il presidente Polloni mi dà 30 milioni di lire all’anno, quasi il triplo di ciò che prendevo a Lumezzane); Orceana (lo sai che Orrico, quando allenava a Brescia, il giovedì veniva a seguire i miei allenamenti?); Ospitaletto, con cui vinco il campionato di C2 e Cusin stabilisce il record d’imbattibilità; il Bologna, in B, dove mi porta Gino Corioni. Se n’è andato nel marzo di un anno fa, ma ce l’ho sempre qui dentro». Si ferma. Porta una mano al cuore. Riprende: «A Bologna, i tifosi mi accolgono male. Storcono il naso. Non vogliamo il Bolognetto, ma chi è questo Maifredi? Dicono, scrivono, contestano, fischiano. Li capisco. Hanno avuto grandi come Pesaola e G.B. Fabbri, io non sono nessuno. Partiamo per Lecce. Incrocio i dirigenti Gruppioni e Bernardoni. Il primo porta un Rolex d’oro al polso; il secondo ha una fiorente attività in campo automobilistico, tanto da essere uno degli sponsor di Mansell in F1. Percepisco il loro pessimismo. Dico loro: se torniamo in A, tu, Gruppioni mi regali il Rolex e tu, Bernardoni, un’Alfa Romeo. Quando raggiungiamo la promozione, il Rolex a Gruppioni lo sfilo io. E Bernardoni mi fa trovare una Giulietta con il fiocco. Nel primo anno di A ci salviamo e nel secondo entriamo in Uefa. E io non cambio mai orologio».

LA SIGNORA BRUNA - E poi? «E poi con il Bologna ho un contratto triennale, ma la Juve mi vuole. Una mattina, Bruna, mia moglie con la quale sono sposato dal ‘71, riceve una telefonata. «Pronto, sono Giampiero Boniperti». E lei: «Certo. E io sono Grace Kelly. E riappende». Il giorno dopo, suonano alla porta. E’ il fiorista: consegna un gigantesco mazzo di rose. Con un biglietto: sono davvero Boniperti. Un gran signore, vero? La Juve mi cerca per due volte, ma io ho rispetto il contratto con il Bologna e, soprattuto, la parola data a Corioni. Ma, al secondo giro, Boniperti mi fa: «Caro Maifredi, si ricordi che, nella vita, la fortuna e la Juve bussano una volta sola. Ma lei è molto fortunato...». Accetto. Un giorno, mi presento a casa Boniperti. Mi fanno accomodare in un salottino delizioso, stile Luigi XVI. Sono talmente emozionato che sento la sedia fare crac. Si apre una porta. Entra l’Avvocato. Sbotto: «Sarà banale, ma per me è un onore». Agnelli sorride. E chiede: come sta il suo Baggio?».

LA JUVE E L’ASINO GIGI - E poi? «E poi la mia scalogna è non avere più Boniperti come presidente. Alla Juve c’è il ribaltone: via Giampiero, ecco Montezemolo. Non va. Mi dicono di stare tranquillo, dev’essere un campionato di transizione. Non è così. Pronti via e ci resta appiccicato addosso il 5-1 del Napoli che vince la Supercoppa e Silenzi fa tre gol a Tacconi. Ci riprendiamo, grazie a Baggio che era già stato venduto al Milan dalla Fiorentina, ma alla fine viene a Torino. Baggio è il più grande, come uomo e come calciatore. Lo sai? Dopo la delusione Juve, quando arriva il momento in cui posso contare gli amici veri, a volte, il mattino mi chiama Roberto: mister, c’è un piatto di pasta che ti aspetta a casa mia. Dai, vieni». E poi? «E poi alla Juve stecco perché sono un asino, un presuntuoso e la presunzione si paga. Anche se il Barcellona che ci ha eliminato dall’Europa era allenato da un certo Cruyff che aveva Laudrup, Stoichkov, Bakero e Koeman. Anche se non mi avevano preso Dunga. Anche se Casiraghi è stato fuori quattro mesi per infortunio. Ma ho sempre avuto una regola di vita: mai voltarsi indietro e guardare sempre avanti. Una soddisfazione? Avere inventato il mio Var, tredici anni fa, a Quelli che il calcio con il Team Maifredi che sul campo rifaceva le azioni salienti delle partite di cui la Rai non aveva le immagini. Che cosa vorrei fare da grande? Prendere in mano un settore giovanile, impostare un piano di lavoro triennale e chiudere la carriera come Dio comanda. Sono stato molto vicino al traguardo con il Chievo, poi Nember, il ds mio grande amico è andato via e non se n’è fatto più nulla. Sai chi è avanti anni luce con il vivaio? L’Atalanta. Percassi sta facendo cose pazzesche e Gasperini è bravissimo. E adesso beviamo il nostro tè. Ti va una meringa?»


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