Sergio Campana: «Date il calcio ai calciatori»

Ha fondato 50 anni fa il sindacato di categoria. Ha firmato la conquista di storici diritti. In luglio entrerà nella Hall of Fame di Coverciano. Nei giorni della Grande Crisi, ha molte cose da dire
Sergio Campana: «Date il calcio ai calciatori»
Xavier Jacobelli
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ROMA - La butta lì, con nonchalance. «Mi hanno chiamato da Coverciano, annunciandomi che entrerò nella Hall of Fame del calcio italiano. Ma non so ancora se andrò alla cerimonia. Non amo molto i riflettori, io...». Subito, salta su Gianni Grazioli, direttore generale del'Associazione Calciatori della quale, da sedici anni, è un autentico caposaldo: «Scherzi, Sergio? Certo che ci sarai. È un grande onore, per te e per l’Aic, entrare nella Hall of Fame. È il riconoscimento di cinquant'anni di battaglie». Sergio è l’avvocato Campana, 83 anni, per quarantatré leader del sindacato dei giocatori, prima di passare la mano a Damiano Tommasi, 43 anni, mancato presidente della Figc. Mancato perché il Palazzo ha preferito consegnarsi al commissario Fabbricini e ai subcommissari Clarizia e Costacurta, piuttosto che eleggere al vertice un grande ex calciatore, leader dell’Associazione da sei anni. Campana entra subito in tackle scivolato. Non potrebbe essere altrimenti, conoscendone il carattere e il temperamento: «L'eliminazione dell’Italia dalla corsa ai mondiali, per la prima volta negli ultimi 59 anni e l'incapacità del Sistema di eleggere il presidente federale sono stati un'umiliazione nazionale. Dopo il disastro, sin da quando è stato il solo in consiglio federale ad alzarsi e a chiedere le dimissioni di Tavecchio, Tommasi ha agito nel modo migliore. È stato chiaro e coerente sino in fondo. Si è confermato il degno leader dei calciatori. Ha tenuto la schiena dritta».

ORGOGLIO E PREGIUDIZIO -  L'ufficio di Sergio è attiguo a quello di Damiano. La sede dell'Aic è in Contrà delle Grazie, nel centro di Vicenza. Sergio invita subito a dargli del tu. Arriva in auto da Bassano del Grappa. Guida lui, naturalmente. «Lo sport è stato fondamentale per mantenermi in buone condizioni. Lo sport, cioé il calcio, il, tennis, le lunghe passeggiate; l’alimentazione e lo studio. Ho frequentato il più severo liceo classico di Bassano, così severo che il settanta per cento degli studenti si rifugiava allo scientifico. Nel '56, il mio allenatore al Vicenza era Piero Andreoli. In trasferta, andavamo in treno. Io avevo sempre un libro con me e, quando mi vedeva con uno in mano, Andreoli sbottava: Campana, non studiare troppo perché i mucoli si intorpidiscono. E io: mai come quelli dei compagni che giocano a carte per ore». Sorride. Le notizie che arrivano da Roma lo corroborano. «Costacurta e Corradi, rispettivamente subcommissario in Federazione e in Lega sono, finalmente, un segnale positivo, nella direzione giusta. Due ex giocatori sono stati chiamati a ricoprire un ruolo molto importante nel processo di rifondazione del Sistema. È un primo passo che saluto con orgoglio, poi, come sempre, saranno i fatti a giudicare l’operato delle persone. Ma questo è un calcio al pregiudizio che ha tenuto sempre i giocatori fuori dalla stanza dei bottoni con la scusa che i lavoratori dipendenti non possono entrarvi: tocca ai giocatori governare il calcio. Boniek non è forse presidente della federcalcio polacca? Platini non è stato presidente dell’Uefa? E Beckenbauer non è stato vicepresidente della Fifa? Oggi Boban non è vicesegretario generale della Fifa? Ecco perché Tommasi presidente in Via Allegri avrebbe segnato una svolta storica. Ma noi non molliamo».

DA FRANCHI A TAVECCHIO -La voce è ferma, le idee sono schiette, il piglio è sempre quello degli anni ruggenti. «Sai che cosa manca al calcio italiano di oggi? Un dirigente come Artemio Franchi. Ricordo il nostro primo incontro, a Firenze, quando lui era presidente della Figc: ‘Caro avvocato, che piacere vederla’, mi disse. E ancora: ‘Le assicuro che tutto ciò di cui abbiamo discusso verrà affrontato nei tempi e nei modo più opportuni”. Non andò esattamente così, considerato quanto abbiamo dovuto lottare perché i diritti della categoria venissero riconosciuti dai presidenti, ma Franchi è stato il più grande dirigente del nostro calcio». E Tavecchio? «Tavecchio ha fatto anche delle cose buone, come l’introduzione della videoassistenza arbitrale, per esempio. Ma l’eliminazione dalla corsa al mondiale ha schiacciato tutto. Adesso, ricominciare si deve: è nelle situazioni più negative che bisogna trovare la forza per rialzare la testa. E’ vero: i Totti, i Del Piero, i Maldini non hanno ancora trovato epigoni all’altezza della loro classe, ma sta crescendo una generazione di buoni calciatori. Il problema è un altro e rimane sempre quello...». Quale? E, già che ci siamo, da dove si ricomincia, Sergio?.

IL CALCIO AL TEMPO DEI SOCIAL - Stavamo meglio quando stavamo peggio, Sergio? Hai notato, come in morte di Vicini, si sia levata un’onda di nostalgia per il suo calcio, per i suoi Azzurri, per la sua Italia? «Sì, l’ho notato eccome. Non è soltanto l’affetto per Azeglio e il dispiacere generale per la sua scomparsa. E’ la riscoperta dei valori autentici del calcio. Io non sono mai stato espulso e nemeno squalificato. La mia fortuna? La consapevolezza che non avrei fatto il giocatore per sempre e, dopo avere smesso, mi sarei dedicato ad altro». Come giudichi i giocatori al tempo dei social? L’uso e anche l’abuso che, alcuni fra loro, ne fanno? «Cambiano gli strumenti a disposizione, non cambia il modo di affrontare la vita. Prima di tutto la cultura, lo studio, la competenza. Per molti anni sono stato l’unico giocatore laureato. Oggi Chiellini e Stendardo, per citarne solo due e molti altri dimostrano la crescita della categoria. Anche nel modo di comunicare: hai visto Buffon? Bravissimo in campo e fuori dal campo. Sono un suo ammiratore senza condizioni». E il tuo Vicenza? Sta lottando per sopravvivere... «Ce la farà perchè i suoi tifosi sono eccezionali. Bisogna riuscire a conquistare la salvezza. poi, a fine stagione sono convinto che gli imprenditori del territorio sapranno voltare pagina e ripartire. A proposito: lo sai che un po’ di calcio ne capisco? Nel 2015 avevamo qui Petagna, ma non lo facevano giocare mai. Eppure, io lo dicevo, in tribuna al Menti: questo è uno buono. Sfonderà». Vai ancora allo stadio quando gioca il Vicenza, tu che hai disputato 240 partite di campionato in biancorosso segnando 46 gol? «Sempre. Soprattutto adesso».


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