«In Italia controlli top, ma si rischia»

Dopo la morte di Astori, il professor Tranquilli conferma: «Da noi grande medicina sportiva però un under 35 su 100.000...»
«In Italia controlli top, ma si rischia»© AP
Alberto Ghiacci
2 min

ROMA - Si può essere sportivi, non sportivi o anche sportivi professionisti. Non c’è differenza. E sì, si può morire così, a 31 anni, senza che fino a quel momento ci siano mai stati problemi. Nel caso di Astori, evidentemente, c’erano, ma non per questo si potevano individuare, neanche con controlli molto approfonditi. Il discorso vale per tutti, sia per chi deve andare a mille per professione sia per chi invece conduce una vita sedentaria.

MEDICINA E SPORT - Certo, quando si fa sport a livelli di professionismo i rischi diminuiscono, se non altro per i controlli continui a cui gli atleti vengono sottoposti. «E in Italia siamo avanti grazie alla Legge 91 che regola le norme dei rapporti tra sportivi e società professionistiche, introducendo già dagli anni 80 la scheda sanitaria per ogni atleta». Il commento è di Carlo Tranquilli, specialista in medicina dello sport, a lungo medico dell’Italia Under 21, tre Olimpiadi nel curriculum e professore di riferimento per diverse federazioni sportive di casa nostra. In sintesi: i controlli sugli atleti professionisti possono abbassare di gran lunga i rischi di morte improvvisa, ma non è possibile evitare del tutto le possibilità di decessi per patologie cardiache. Alcune delle quali non sono rintracciabili anche con esami avanzati.

LUTTO - Il tema, ovviamente, è tornato di attualità ieri, con la morte di Astori e il nuovo capitolo delle scomparse premature legate al mondo del calcio. «Purtroppo non c’è niente di nuovo - commenta il dottor Tranquilli - con i controlli si abbassa di molto il rischio di morte improvvisa ma non la si può evitare al cento per cento. Nel nostro Paese, grazie all’obbligo di legge, i controlli sono molto più estesi rispetto agli altri paesi. Almeno ogni sei mesi la scheda sanitari dell’atleta deve essere aggiornata e la responsabilità è della socità, quindi del medico sociale.

Leggi l'articolo completo sull'edizione digitale del Corriere dello Sport-Stadio


© RIPRODUZIONE RISERVATA