Varzellette che non fanno ridere

Varzellette che non fanno ridere© ANSA
Ivan Zazzaroni
4 min

Al secondo anno continuo a non capire che (ab)uso si stia facendo del Var: da mesi, gli arbitri al video segnalano spesso in notevole ritardo e con uno scrupolo degno dei più affermati chirurghi robotici i tocchi di mano e addirittura di polpastrello ma trascurano sgambetti in area perfettamente visibili con la tecnologia. Ieri Rocchi, che era a due passi dall’azione, avrebbe anche potuto non accorgersi del contatto D’Ambrosio-Zaniolo ma dopo un istante il Var Fabbri sapeva benissimo che il rigore c’era eccome, e grande come una casa popolare.

Ora, non si tratta più di considerare la quantità degli interventi del Var bensì la qualità, altrimenti non si migliora, non si cresce quanto si dovrebbe. Non ho mai fatto il giornalista ultrà, ma mi rendo conto che nella stagione della video-assistenza non ottenere un rigore sacrosanto sullo 0-0 può fare incazzare e non poco chi subisce il torto e la correzione del percorso, in questo caso la Roma.

Per fortuna sua (Roma) e di Fabbri, nella ripresa Brozovic il pallone l’ha toccato con un braccio e allora, sì, che il Var si è riacceso in automatico.

Pur se priva di figure fondamentali quali Dzeko, De Rossi e El Shaarawy, la Roma ha giocato una delle migliori partite in casa della stagione mostrando nuovamente uno Zaniolo più maturo della sua età e progressi di Schick e di manovra; mentre l’Inter si è molto specchiata: ma Spalletti ha Maurito che ha fatto quello che sa fare meglio di tanti altri, il gol.

Altre cose che non ho capito. Ad esempio, dove volesse andare a parare Gasperini, uno che non spara cazzate, quando ha dichiarato che «in queste ore ho sentito parecchie cose di cattivo gusto, soprattutto speculazioni rivolte alla polemica. L’ambiente di Bergamo è sempre stato fantastico per giocare a calcio». Ma forse è colpa mia: mi saranno sfuggiti gli attacchi alla città e alla tifoseria atalantina, infatti ho letto cose ben diverse sulle differenze tra offese e sfottò, tra “Vesuvio, lavali col fuoco” o “Ci scansiamo dalla vostra puzza” e “Noi non siamo napoletani”. Le prime due, inaccettabili, incivili, da quarto mondo; la terza, tollerabile al di là dell’evidenza.

Fatico a capire anche il Milan che sta per prendere il trentasettenne Ibra per sei mesi sacrificandogli Cutrone: già, perché in fondo il prezzo di Zlatan lo pagherà il centravanti dal gol facile che di anni ne ha appena venti. A Gattuso che insegue la Champions-necessaria servono tre punte e lo svedese garantisce esperienza, potenza e personalità, oltre che un indiscutibile ritorno di immagine, eppure un’operazione del genere mi porta a pensare che le battaglie giornalistiche per l’impiego dei giovani italiani siano parenti strettissime dell’ipocrisia e dell’opportunismo.

Sto invece capendo le difficoltà di Bologna e Firenze: assai più grave la crisi della squadra della mia città e di una società che vorrebbe tenere Inzaghi ma ha il dovere di controllare i numeri, riconsiderare i valori tecnici del gruppo e gli scenari. Lunedì scorso sono stato a Casteldebole - visita di cortesia: ospitalità apprezzatissima - dove la tensione si notava solo sul volto del tecnico. Dopo Genova si è estesa giustamente ai dirigenti e alla squadra.

Il problema della Fiorentina è fondamentalmente il gol che manca, l’involuzione di Simeone, l’incapacità di risolverla. Tanto a Bologna quanto a Firenze, bisogna saper prendere per tempo le redini del cambiamento e governarlo.


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