Il calcio dichiari guerra all'odio

Striscioni volgarissimi e minacciosi contro Preziosi, e a Bologna, Roma. Ovunque
Il calcio dichiari guerra all'odio
Giancarlo Dotto
5 min

È venuta l’ora di fare di tutta l’erba un fascio. La domanda inesorabile è: cosa siamo diventati? La risposta non può essere meno inesorabile: siamo diventati feccia. Perché lo siamo o perché, se non lo siamo, fingiamo di non sapere e di non vedere. Il lenzuolo bianco in gradinata nord a Marassi che vomita su Paola, colpevole d’essere la figlia di Preziosi, quello che tuona e suona minaccioso a Casteldebole dove si allena il Bologna (“Intervenite o interveniamo!”), lo striscione a Roma di 25 metri esposto di notte sul viadotto di Corso Francia contro Milinkovic, chiamato “zingaro” come l’estremo degli insulti.

Sono solo gli ultimi di una marea, che al confronto Malagrotta è un letto di rose. Entrano negli stadi, vengono appesi dovunque, sui cornicioni, sui ponti, dentro e fuori gli stadi, passano per i social e per i microfoni. Liberi di colpire e sempre impuniti. Il movente è sempre lo stesso. Odia il prossimo tuo come te stesso. Odia senza che ci sia bisogno di una scusa per odiare. Che siano scritte, cori o spray urticanti. L’epidemia del cretino avanza. E non venitemi a dire che sono ragazzate innocenti. Non esistono cretini innocenti. Il cretino è per definizione violento. Nulla fa più paura di dieci cretini messi insieme e liberi di colpire. Il cretino fatto branco è un male assoluto. Lo slogan del cretino mastica all’infinito la stessa merda perché non ne riconosce il sapore. Per disperderlo non basta un idrante. Ci vuole una punizione esemplare, in assenza di una pedagogia esemplare.

È arrivato il momento di chiederci perché girano facce sempre meno presentabili e facce sempre più alterate o pietrificate, dalla rabbia o dalla noia. La vacuità pornografica, ecco cosa tiene insieme un trapper disco di platino di oggi alle strofe infamanti dei suoi adoratori. È accaduto qualcosa di terribile sotto i nostri occhi. Il massimo che possiamo fare è raccontarcelo.

Qui siamo ben oltre l’ultrà da stadio, quando l’ultrà è ovunque. Qui la violenza è oscura e impenetrabile perché non c’è un soggetto riconoscibile, ma migliaia di sicari arruolati dal nulla. Li trovi nel tuo condominio o al prossimo incrocio. La bestia è in ogni luogo, una metastasi senza fine. La riconosci facile. Dall’ottusità imperforabile dello sguardo. Impossibile distinguere. È sempre, tutta, la stessa bestia. Le scritte infami a Torino contro Scirea e le vittime di Superga, i cori e gli striscioni disgustosi ovunque contro i napoletani, le repliche a Napoli al Rione Sanità (“Meglio una moglie troia e un figlio frocio che essere juventino” o “L’ho uccisa non perché mi tradiva ma perché era juventina”). I manichini bruciati e impiccati. La gente nelle grandi città che circola in auto con le mazze da baseball. Puzzano tutti della stessa ascella malata.

Battaglia persa? Poco ma sicuro. La dinamica è sempre la stessa. Bisogna toccare il fondo. Il fondo lo stiamo toccando. Basta saperlo. Illuminato e gentile tiranno, se ci sei, batti un colpo. E se non ci sei lasciati inventare. Occorre istituire al più presto il reato di volgarità, se la volgarità è l’antefatto di ogni violenza. La premessa di ogni stupro, psicologico prima ancora che fisico. La volgarità è perseguibile perché contagiosa. Una simpatica e anziana signora che per sentirsi contemporanea in un talent televisivo dice “cazzo” ogni tre parole non sa di essere lei stessa un sicario di questo male che ci sta soffocando, lei che dovrebbe guidarci per mano. L’uomo di suo non è votato all’amore e alla bellezza, deve essere portato con mano. Ma è la mano che manca. E senza la mano siamo monchi. Il Salvini o il Di Maio di turno, non potete non sapere che scritte come quelle di Genova, Bologna, Roma, Torino o Napoli non sono trascurabili derive calcistiche, ma la prova clamorosa che stiamo pompando qualche centesimo o qualche arma di difesa in più in una società gravemente malata. Sono l’avanguardia di un mattatoio sociale. Vanno biasimate di brutto, subito, in un discorso alla nazione.

La pazzia non è che tutto questo accada, la pazzia è che a tutto questo non si dia risposta. Che può essere solo una, punire e non buttare le chiavi. Ma inventare una nuova porta.


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