Duri, diretti, inesorabili

Duri, diretti, inesorabili
Ivan Zazzaroni
4 min

Prima di Natale chiedevamo un sogno, il giorno di Santo Stefano abbiamo vissuto un incubo. Fuori e dentro una sola partita abbiamo trovato un agguato ultrà, premeditato, la morte di un uomo, i cori razzisti e tutto quello che il peggio del Paese è in grado di produrre nelle ore che seguono la tragedia: ipocrisia, scambio di accuse e difese tifose, demagogia e una bella cavalcata nelle praterie delle emozioni facili. In una parola, inefficacia. 
Il fermo del campionato è la madre di tutte le misure inefficaci: chi lo ispira o lo decide sa che non servirà a nulla. L’ha capito Gabriele Gravina, e il campionato non si fermerà: altre volte lo sport si è fermato e niente è cambiato. Perché è mancata la volontà di affrontare il tema con lucidità e sobrietà.  
Ciò che è accaduto a un paio di chilometri dallo stadio rientra nel campo della criminalità organizzata, gli ululati razzisti sono altra cosa e appartengono in toto al calcio. 
Dell’agguato di via Novara, per certi versi simile a quello che si concluse con l’assassinio di Ciro Esposito, si devono occupare le forze dell’ordine, le istituzioni; degli ululati e dei cori, i vertici del calcio. 
«La morte del tifoso interista è il peggiore esito di un’escalation di violenza che ha ripreso da qualche mese a caratterizzare le partite di calcio» ha spiegato Girolamo Lacquaniti, portavoce dei funzionari di polizia. «Sempre più spesso assistiamo a pericolose commistioni tra tifoserie diverse per alleanze estemporanee al fine di regolare conti come nelle peggiori tradizioni criminali. Non siamo di fronte a un episodio isolato ma ad un preciso e coerente piano criminale per riportare gli stadi e le città che ospitano incontri di calcio ad essere ostaggio di delinquenti che non sono animati da semplici interessi pseudo-sportivi ma da interessi economici e di potere da esercitare sotto forma di ricatti e estorsioni. Occorre che le società di calcio, i club dei tifosi sani siano partecipi di un’azione che porti, insieme alle forze dell’ordine, non solo ad individuare ma a punire i responsabili di crimini gravissimi». Avete letto, non è un parto giornalistico, un editoriale impegnato. È la parola di chi vive e rischia per renderci più sicura la vita. 
Detto senza ironia, ma con la speranza vera di chi dispera. Il ministro dell’Interno ha ora o mai più l’occasione giusta per dare una prova concreta del suo spessore muscolare. Di mostrarsi per quello che si dichiara, duro, diretto e inesorabile. Un’immagine feroce e la parola che ne segue o forse la precede segnalano il punto di non ritorno. «Schiacciante». Schiacciato il calcio intero da un octopus che non si è mai voluto eliminare alla radice. Schiacciata una comunità intera e la voglia residua di considerare lo stadio come un luogo di aggregazione.  
Ribadisco che invocare la sospensione del calcio confessa solo una cosa: l’assenza di pensiero. Spendere aggettivi vistosi e rifugiarsi in un rituale che è ormai più un tic da mezze maniche e da mezze calzette, non è una risposta, è una resa. Il pallone deve sapersi assumere la responsabilità di dare le sue risposte mentre accade, mentre rotola, sotto gli occhi del mondo. Ululati a sfondo razzista? Sospendere l’incontro senza la minima mediazione. 
Le società hanno le loro gigantesche responsabilità e le conosciamo tutte. Ma da sole non possono farcela. La ragion di Stato deve capire una volta per tutte se deve essere il sistema calcio ad assumersi una quota così rilevante del malessere giovanile e del suo buio mai così buio. E decidere di conseguenza.


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