Re Ancelotti: 1.000 panchine come la prima

Dalla Reggiana al Bayern, con sorrisi e passione. Oggi l’Amburgo: Carlo tocca una quota storica
Re Ancelotti: 1.000 panchine come la prima© EPA
Alberto Polverosi
3 min

ROMA - «Carlo, sei vecchio». «Ma se ho appena 57 anni». «Sì, e le mille panchine dove le metti?». Mille panchine e non sentirle. Carlo Ancelotti è inossidabile. Il suo maestro è Sacchi, ma lui farà come Trapattoni. Perchè la panchina, per uno come Carletto, è energia allo stato puro. Non è stress, non è una tossina, ma una scarica di buonumore, di piacere, di soddisfazione. Oggi, contro l’Amburgo, Ancelotti compie 1.000 panchine con le sue squadre, dalla Reggiana al Bayern Monaco, una crescita continua senza mai smaniare, senza mai cercare, perché tanto erano gli altri che cercavano lui. Ha allenato grandi squadre, grandi giocatori e grandi proprietari, i Tanzi prima del fallimento, gli Agnelli, Berlusconi, Abramovich, il qatariota Nasser Al-Khelaifi, Florentino Perez e ora i facoltosi bavaresi. Provate a chiedere di lui a tutta questa gente, avrete in risposta un sorriso e belle parole. Ha vinto giocando bene, ha allenato divertendosi e facendo divertire chi aveva la fortuna di lavorare con lui.

DITO MEDIO, ANCELOTTI ASSOLTO

IL CONFRONTO - Pensate a Conte, a Guardiola, a Mourinho in panchina, le loro urla, le loro tensioni, i polsi ammanettati, gli sguardi allucinati, e rovesciate quelle immagini di 180 gradi. Uscirà fuori la foto di Ancelotti. Dove gli altri si scannano, lui ci va a nozze. Non è il suo modo di allenare, è il suo modo di essere. Ed è ciò che lo distingue da quasi tutti gli altri. Ancelotti è un allenatore naturale non perché capisce di calcio (sarebbe troppo ovvio), ma perché conosce la vita, perché è rimasto se stesso davanti a tutti. Mille panchine dovrebbero macerarti, distruggerti dentro. Sacchi non ha retto allo stress e ha mollato tutto, Guardiola dice che smetterà presto. Carlo se la ride. E’ il senso di autocritica che lo differenzia dal resto della categoria. «La Reggiana mi ingaggiò perché ero un ragazzo del posto ed un ex giocatore famoso», ha scritto nel suo ultimo libro, “Il leader calmo”, titolo che definisce bene il suo essere. Altri si sarebbero inventati chissà cosa per spiegare quel primo incarico. «Il Parma mi cercò perché Fabio Capello, che aveva già firmato, rinunciò per andare al Real Madrid», ricorda ancora in quelle pagine. Dunque, non era una prima scelta, ma non c’è niente di male ad ammetterlo. In un mondo di fenomeni, il vero fenomeno è chi non fa il fenomeno.

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