Tesse, da Tobago alla Lazio: «Allenare mi ha restituito il calcio perduto»

Ex difensore, ha vinto tanto e giocato ovunque. Un brutto infortunio l'ha fermata troppo presto. Ha 41 anni ed è allenatrice professionista. Lotito le ha affidato la panchina biancoceleste in serie B. "Ho dato tanto per diventare quello che sono. Chiedo solo che alle donne siano date le stesse opportunità degli uomini. Ma già oggi posso dire alle bambine che il futuro nel calcio per loro c'è. Grazie anche a me, Morace, Panico, Guarino: le apripista"
Tesse, da Tobago alla Lazio: «Allenare mi ha restituito il calcio perduto»
Valeria Ancione
9 min

Se non trovi il coraggio è perché ti guardi allo specchio e non dentro di te. E se non sperimenti quello che sei, finirai per essere quello che gli altri credono di te. Manuela Tesse ha imparato a guardare dentro per essere quello che oggi è. Ha 41 anni, viene da Sassari, ha “l’anima giovane e qualche ruga”, faceva il difensore e anche i gol, ha vinto scudetti e coppe Italia: il calcio l’ha illusa e ingannata. Se n’è andata come una donna tradita. Ma è tornata al richiamo di un amore che non passa mai, e così se a calcio non poteva più giocare è passata dall'altra parte, ad allenare.

DA TOBAGO A LOTITO. E’ rientrata a maggio dall’esperienza fatta a Trinidad Tobago, alla corte di Carolina Morace, collega e altra pietra miliare del calcio italiano. Era andata lì credendo in un progetto che sembrava possibile, fondare e crescere una nazionale femminile. Alla fine è risultato difficile, più difficile della nazionale di bob della Giamaica. “Dovevo tornare in Italia per mia madre, quindi mi sono dimessa, ma era già deciso perché la federazione non mi dava nessuna sicurezza.  Ero andata a sperimentare e anche a imparare l’inglese, unico modo per comunicare. Avevo trentatrè ragazze che non parlavano e io non parlavo. Alla fine abbiamo usato il linguaggio del calcio, unico e universale. Anche Carolina alla fine ha dovuto lasciare. Il progetto si è rivelato campato in aria. Io selezionavo ragazze che non avevano mai giocato. Era tutto da costruire, sarebbe stato bello, però non c’erano le condizioni.”

Manuela è tornata a Roma, per allenare la Lazio Women di Lotito. Un’altra scommessa, un’altra sfida perché le biancocelesti ripartono da quelle che erano, qualche innesto numerico ci sarà, nessun colpo di mercato. E’ lei, la Tesse, il vero colpo di mercato. “Il 28 agosto ci raduniamo e si parte. L’obiettivo minimo è arrivare terze. Fare meglio degli altri anni si può”. Non è presunzione è conoscenza e competenza. 

CHI SA IL MARE... Sarà che chi è abituato ad attraversare il mare, gli ostacoli li affronta non li scansa. Manuela Tesse è così, forse per via della sua insularità, di quella distanza intriseca dalla terra ferma che le consentono di provare un senso di precarietà nella giusta misura per non farsi sopraffare dalle incertezze. Vivere di calcio per una donna è il trionfo delle incertezze. Manuela è un’altra nomade del calcio, da quando aveva 18 anni. Un giorno è partita, ha lasciato la sua Torres e issato le vele di un talento che l’hanno spinta a fare la calciatrice sul serio, per lavoro. La vita rotola come un pallone, senza angoli, non svolta, piuttosto va e si posa e poi riparte. “Sono andata via a diciotto anni. Mi sentivo chiusa in Sardegna. Oggi non la lascerei più».

LA FINE IMPREVISTA. In giro per l’Italia col pallone sotto braccio, a raccogliere scudetti e trofei vari e poi la Champions League e 88 presenze in Nazionale. Eh già la Nazionale, un’altra matrigna che illude, delude e non ti aiuta. Manu si è rotta il piede con l’Italia e di lì in poi è iniziato un calvario fatto di sette interventi chirurgici, soldi propri spesi per curarsi all’estero, per una necrosi che ha segnato la morte di un osso del piede (5 trapianti subiti e falliti) e la morte della sua carriera di calciatrice. “Avevo solo 28 anni. Brutto dover smettere per forza, senza avere il tempo di pensare a cosa fare. Mi mancavano tre esami all’Isef, si chiamava così allora, ma non ho fatto in tempo a finire l’università. Dovevo inventarmi qualcosa in fretta”.

Il calcio tornava a essere quello da vedere, nemmeno da giocare in spiaggia. Tesse è uscita dal calcio, come si chiude un album di foto per non vederle più perché fanno male. E si è messa a vendere case. “Sono diventata agente immobiliare. Sono stata anche brava, avevo le agenzie e otto dipendenti. E’ durata cinque anni, ma avevo mille preoccupazioni, in Italia poi è tutto difficile, non ce la facevo più. Forse è stata l’unica volta in cui i miei non mi hanno sostenuto. Ho pensato che se non potevo più giocare a calcio potevo però allenare. Ho chiuso le agenzie e preso il patentino di allenatore professionista. Sono tornata al pallone, guadagno molto meno, ma sono felice”.

GENERAZIONE APRIPISTA. Si chiamano Morace, Guarino, Panico, Tesse hanno scritto pagine importanti della storia del calcio italiano e quando hanno smesso hanno sgomitato per avere uno spazio meritato se non dovuto.  “Le cose forse stanno cambiando. Lo dico sempre alle ragazze che alleno, credeteci perché per voi ci saranno più chance nel calcio. Noi abbiamo fatto da apripista e sono contenta così. Quello che chiediamo in fin dei conti è che ci vengano date le stesse opportunità degli uomini. Vogliamo essere giudicate sul campo, non dal genere. Ho studiato e investito soldi per diventare quello che sono. Allenare mi ha fatto ritornare nel mondo che pensavo di aver abbandonato per sempre. Ma il calcio è una passione innata, non passa. Ho imparato un nuovo lavoro, mi sono rimessa in gioco. Allenare i ragazzi è più facile, perché loro sono più semplici. Più complesso e psicologico è allenare le donne. Per una atleta la coerenza dell’allenatore è fondamentale. Perché la donna è gelosa, cova dentro, si accorge se menti, non vuole essere presa in giro. Io parlo davanti a tutte, così non nascono equivoci”.

L’AMORE A SORPRESA. Manuela è sarda per caso. Un raro esempio di emigrazione al contrario quello della famiglia Tesse. Il padre è sbarcato sull’isola per vendere l’amaro Cynar, quello della bottiglia col carciofo. E contro il logorio della vita moderna, il signor Tesse, pugliese, è rimasto (quasi) per sempre in Sardegna, con la moglie veneta e le tre figlie. L’animo avventuriero e la teoria della "non paura", Manuela l’ha ereditata dai genitori. “I miei si sono conosciuti a Milano e sono venuti qui per lavoro. Ora vivono in Kenya. Un posto bellissimo. Lì la gente è povera, ma felice e sorridente. Mio padre mi dice sempre di andare lì a fare una scuola calcio. Sarebbe bello, ma come si fa... Ora i miei sono dovuti tornare in Italia perché mia madre non sta bene».

Nel suo avventurarsi, nel nascere e rinascere, Manuela ha attraversato il grande dolore che le ha cambiato la vita. La perdita della sorella. “Aveva 33 anni, è morta in un anno”, il racconto inizia quasi spontaneo e l’emozione che rimanda si fa immagine, la sensazione è di vederle assieme sedute attorno a un tavolo, mano nella mano, una parla e l’altra accompagna le parole con il movimento della testa. “Io allenavo a Sezze, mi sono dovuta prendere cura di lei perché i miei erano in Kenya. Con una malattia così, succede che ti senti malata anche tu, perché non lo accetti. Mi ha dato tanto stare con lei, è un’esperienza che cambia la vita, che ti mette di fronte alle priorità. Sono passati sette anni e sembra ieri. Ma lei mi manda tanti segnali, sento l’energia e non perché sia credente, ma vedo messaggi tangibili della sua presenza. Per me lei è rimasta, non è il passato. Non avevamo nemmeno un grande rapporto, eravamo distanti pima. Con la malattia io l’ho scoperta, ed è nato un rapporto d’amore, come fidanzate. Di lei parlo come se fosse viva». I brividi di certi racconti attraversano il corpo come dita su corde vibrate, che rimandano la musica di un’assenza che diventa presenza. Ricordare non la scompone e la avvicina a quello che ha perduto. Anzi, ritrovato.

Manuela Tesse ha quarantun anni riparte dalla Lazio di Lotito. “Mi piace allenare, stare in mezzo ai giovani. E’ una generazione complicata, molto fragile. Ho fatto esperienza nelle scuole e mi sono spaventata. Non sanno parlare, reggere un confronto, un discorso. Infatti noi allenatori dobbiamo essere anche un po’ psicologi”.

Ha quarantuno anni e gira ancora per il mondo, con le valigie piene di tute, pantaloncini e qualche ricordo. “I ricordi più belli sono legati al calcio. La finale degli Europei da giocatrice. E da allenatrice la tripletta di Panico in Champions, con la Torres. Perdevamo, Patrizia (Panico, ndr), che aveva non so 36, 37 anni, stava in campo ma praticamente non giocava... poi all’improvviso si è svegliata, e ne ha fatti tre e abbiamo vinto”.

Manuela Tesse, da Sassari, ha quarantuno anni e l’anima ragazzina; se lo specchio le dice altro non le importa, a lei la vita ha insegnato a guardarsi dentro e a non fidarsi del riflesso. E’ sarda e sa cosa vuol dire attraversare il mare, perché ha affrontato bonacce e tempeste. E non ha paura di cambiare e sperimentare, sapendo che la vita rotola come un pallone, a volte è palo altre volte è palo-gol. Non è alla ricerca di qualcosa è quel qualcosa che la viene a cercare. “Appena sarò a Roma farò un corso per volontaria negli ospedali. Se fossi giovane studierei per diventare infermiera, sono portata. Ma sono allenatrice e chiedo solo di avere le stesse opportunità degli uomini e poi di poter dire finalmente alle bambine che giocano a calcio che avranno un futuro. Ho quarantuno anni e penso che a questa età sbocci tutto quello che si è piantato, e i sogni diventano progetto».


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