Doyen-Milan, così i fondi comandano nel calcio

La nuova collaborazione di calciomercato dei rossoneri scuote l'Italia. In Sudamerica è un fenomeno che esiste da decenni
Doyen-Milan, così i fondi comandano nel calcio© ANSA
Stefano Piccheri
16 min
ROMA - E’ bastata una foto, quella di Galliani con Nelio Lucas,ceo di Doyen Sports, per mandare in subbuglio il mondo del calcio italiano, sconvolto dall’improvvisa iperattività del Milan. Jackson Martinez, forse Ibrahimovic e addirittura Kondogbia: ora tutti parlano dei fondi d’investimento nel calcio, quasi sorpresi. Chi per mestiere non può esserlo è Stefano Malvestio, legale nello studio Bichara e Motta, il più famoso su temi di diritto sportivo in Brasile, quello che si è occupato delle operazioni di Neymar al Barcellona, Thiago Silva e Lucas al Psg, Fernandinho al Manchester City.
 
Ci spiega in che ambito si muove il vostro studio e quali casi famosi avete trattato? 
«Pur occupandoci di aree del diritto abbastanza comuni quali civile, commerciale, internazionale e del lavoro, la nostra “specialità” è il diritto dello sport, sia in ambito nazionale che internazionale. In questa materia siamo leader in Brasile e tra i primi a livello mondiale. A livello di trasferimenti internazionali di calciatori, oltre a quelli succitati, tocchiamo i paesi del mondo, tra cui Cina, Giappone, Ucraina, Russia, Medio Oriente e Stati Uniti: mercati interessantissimi e da cui si apprende ogni volta qualcosa. Per quanto riguarda il contenzioso, invece, agiamo innanzi agli organi della FIFA ed al TAS di Losanna. Senza entrare in dettagli che coinvolgono aspetti confidenziali, abbiamo rappresentato o rappresentiamo presso tali istanze Luiz Felipe Scolari, Joao Moutinho, Leonardo, Zico, Conca, la Federazione brasiliana (CBF), il Flamengo, i New York Cosmos e molti altri agenti, club ed atleti brasiliani ed internazionali. Seguiamo anche casi di doping: forse le sfide più appassionanti, indubbiamente le più difficili. Con orgoglio, possiamo dire di aver contribuito a “salvare” atleti ingiustamente accusati quali Deco e l’atleta di beach volley Pedro Solberg Salgado. In entrambe le situazioni, si è scoperto che si trattava di “falsi positivi”; sono due dei tre casi che hanno portato al ritiro dell’accredito WADA al laboratorio anti-doping di Rio de Janeiro. Durante i mondiali in Brasile, infatti, le provette venivano inviate al laboratorio di Losanna, in Svizzera. Cerchiamo anche di non trascurare l’aspetto sociale dello sport. Appoggiamo il bellissimo progetto sociale 'Karanba Projeto de Futebol', che aiuta bambini, ragazzi e ragazze di favela attraverso il calcio, inteso come strumento sociale, ed è finanziato, tra gli altri, dal programma FIFA Football for Hope. Vi invito a conoscerlo attraverso il sito www.karanba.com o a entrare in contatto con me».
 
 
L'accoppiata Milan-Doyen accende i riflettori della cronaca sui fondi nel calcio. Ci spiega cosa sono?
«Innanzitutto, credo sia fondamentale chiarire alcuni concetti. Quando un club stipula un contratto di lavoro con un calciatore professionista e, successivamente, lo tessera presso la federazione competente, ne acquisisce i cosiddetti “Federative Rights”, o “Diritti Sportivi”, ovvero il diritto a riceverne le prestazioni sportive. In tale situazione, com’è ben noto, il trasferimento a titolo oneroso del calciatore a un club terzo genera un corrispettivo economico che, dedotto il meccanismo di solidarietà eventualmente applicabile, è destinato al club cedente.  I “fondi”, così come altri investitori, detengono i cosiddetti “Economic Rights”, o “Diritti Economici”, ovvero il diritto, acquisito a vario titolo, a ricevere una partecipazione, stabilita in misura percentuale, del valore incamerato dal club cedente. Tali investitori vengono, pertanto, soddisfatti solo se e quando il calciatore è trasferito a titolo oneroso. Va chiarito che non tutti coloro i quali detengono diritti economici sono i grandi fondi a cui si pensa. Gli stessi calciatori possono detenere tali percentuali, in molti paesi, addirittura, ex lege o per accordo collettivo; in altre situazioni, i diritti economici sono detenuti da piccoli club locali che hanno formato il calciatore ad inizio carriera, o investitori con risorse limitate che acquisiscono partecipazioni legate ad uno specifico affare».
 
In Sudamerica esistono da tanti anni: cosa fanno e che peso anno?
«Come detto, esistono varie forme di acquisizione di diritti economici. La forma conosciuta in Europa è il modello, visto che se ne parla tanto, Doyen: l’investitore finanzia, in parte o integralmente, l’acquisizione di un calciatore in favore di un club, con l’obiettivo, poi, di rivenderlo una volta valorizzato, ricavandone una percentuale; è ciò che ha fatto il Porto negli ultimi anni. La critica mossa a questi fondi è che sottrarrebbero capitali al calcio: ad esempio, quando il Porto trasferisce un calciatore, solo una percentuale del ricavo rimane al club portoghese. Ci si dimentica, però, che a fronte del lucro finale, vi è stato un apporto, spesso significativo, iniziale del fondo, senza il quale il club probabilmente non avrebbe potuto nemmeno acquisire tale giocatore. Oltretutto, è un investimento di rischio. Ovviamente, sulle prime pagine dei giornali ci finiscono solo le operazioni di successo. Ma esistono casi di investitori che ci hanno rimesso.  In tali casi, l’apporto di capitali risulta, al netto, favorevole alla “football family”. Ma non è tutto qui. In alcuni casi l’apporto economico del fondo permette ad un club di trattenere un calciatore che altrimenti sarebbe obbligato a vendere, per necessità di liquidità, dinanzi a certe offerte. È quello che è successo con Neymar e Lucas, ad esempio. In Sud America, poi, è molto diffuso il “recruitment TPO”: un intermediario, o un club amatoriale, porta ad un grande club un giovane calciatore. Ovviamente, il grande club registra centinaia di giovani calciatori, e non può di certo remunerare tutti coloro che partecipano a simili operazioni. Si fa, quindi, un’operazione di rischio: l’agente, il club amatoriale o, talora, la stessa famiglia del calciatore non sono remunerati al momento della conclusione dell’operazione; con l’accordo, però, che se il calciatore “sfonda” e viene trasferito dopo qualche anno, avranno diritto a una percentuale di quella, più sostanziosa, futura operazione».
 
 
Quali sono i più famosi e quali grandi giocatori hanno gestito nel corso degli anni?
«Come detto, e contrariamente a quanto si pensa, in Sud America per lo più si fanno investimenti su operazioni specifiche. Gli unici veri fondi a operare su vasta scala, Traffic e gruppo DIS – Sonda, hanno significativamente ridotto il volume d’investimento in diritti economici. In precedenza, DIS deteneva una partecipazione su Neymar, mentre Traffic investiva maggiormente su giocatori di medio livello. A livello globale, il fondo più conosciuto è sicuramente Doyen. Vi sono poi fondi importanti di provenienza inglese, anche con sottoscrizioni aperte a investitori di piccola-media portata, e nel Medio Oriente».
 
Come sono 'gestiti' dal regolamento Fifa? e come lo erano prima delle ultime novità?
«Dal 1 maggio 2015, le operazioni di cosiddette TPO – Third Party Ownerhsip sono proibite dall’art. 18-ter del Regolamento FIFA sullo Status e i Trasferimenti dei Calciatori. Attenzione, però: gli investitori non sono, generalmente, vincolati dal Regolamento FIFA. Pertanto, il contratto di cessione di diritti economici non è necessariamente invalido dal punto di vista del diritto civile. Piuttosto, ai club, o ai calciatori, che concludono simili operazioni possono essere imposte sanzioni disciplinari dalle competenti autorità sportive. In precedenza, la pratica era già proibita in Francia, Inghilterra e Polonia. A livello FIFA ciò che era proibita era l’indebita influenza dell’investitore nelle politiche del club relative al trasferimento dei calciatori o ai rapporti di lavoro con i tesserati. Ad esempio: una clausola contrattuale che desse all’investitore la facoltà di imporre al club la cessione di un calciatore».
 
Si parla di Tpo e Tpi? cosa significa e quali le differenze?
«A mio modo di vedere, nessuna. Il termine “Ownership”, seppur ormai prevalente nel mercato, è sempre stato impropriamente utilizzato, almeno dal punto di vista giuridico. Nessuno può essere proprietario di un calciatore, nemmeno i club. Esistono, piuttosto, relazioni contrattuali. In questo senso, la “transazione” da TPO a TPI può essere intesa nel senso di accentuare gli aspetti prettamente finanziari delle operazioni, in modo da renderle in linea con il nuovo regolamento FIFA».
 
Quando si parla di questi fondi si pensa immediatamente a qualcosa di torbido e poco chiaro. È così?
«Come le ho detto, qui in Europa l’attenzione è tutta rivolta ai grandi investitori come Doyen; il fenomeno, invece, è molto più ampio, e coinvolge piccoli-medio investitori senza i quali i calciatori, in determinati casi, non avrebbero la possibilità di avere le risorse iniziali necessarie a crescere ed esprimersi. Va compreso che il Sud America è una realtà completamente diversa dalla nostra. Riguardo i grandi fondi, la critica che viene mossa è che l’origine dei capitali è sconosciuta, e che spesso questi fondi hanno sede in paradisi fiscali. Queste critiche, indubbiamente, vanno prese in considerazione e la trasparenza è un aspetto fondamentale. Ad ogni modo, ci sono autorità preposte al controllo della legalità dei trasferimenti internazionali di capitali. Parto dal presupposto che tali autorità svolgano correttamente la loro funzione. Se così non fosse, la problematica certamente non sarebbe ristretta al mondo del calcio. Oltretutto, bisogna essere equi nel giudizio. Ad esempio, lo sapeva che 28 club inglesi su 92 in Premier League e Football League, ovvero prima e seconda divisione, sono controllati da società con sede “Overseas”, cioè non in Gran Bretagna? Tra queste molte hanno sede in paradisi fiscali: ad esempio, il Manchester United nelle Cayman Island. Ancora più attenzione meriterebbe, a mio modo di vedere, la situazione di molti club nell’Est Europa; ed, in particolare, Russia e Ucraina. Qui, società con sede in paradisi fiscali (British Virgin Island per fare un esempio), e che rientrano nella struttura societaria del club in questione, effettuano pagamenti a nome e per conto di tale club, sia in favore di altri club che di calciatori dipendenti del club stesso, anche a titolo di diritti d’immagine. E’ un fenomeno, che, purché correttamente dichiarato (“disclosure”) è conosciuto ed accettato dalle entità che governano il calcio». 
 
 
È la prima volta che un fondo si avvicina a un club italiano in maniera così evidente: cosa aspettarsi?
«Difficile da dirsi. Leggo sui giornali di Doyen e del Milan, ma non so quali siano le modalità di collaborazione, i loro accordi, le strategie, le garanzie. Non posso, pertanto, esprimere un giudizio a riguardo. Quello che posso dire è che la collaborazione di Doyen con club calcistici è stata nella maggior parte dei casi soddisfacente, anche a livello sportivo, per entrambe le parti (esempi di Porto e Atletico Madrid); mentre si è conclusa giudizialmente in altri (Sporting Lisbona – caso Rojo). Vedremo».
 
Dal Doyen continuano a dire di fornire solo consulenze di mercato al Milan. Ma ricordando Kondogbia e il Siviglia, dicono di averne finanziato l'acquisto per poi riprendersi il dovuto, magari con guadagno certo, dopo la cessione al Monaco. Si può fare per regolamento? 
«Dipende. Finanziarne l’acquisto, si può. Le banche lo fanno continuamente, anche avvalendosi di garanzie su future cessioni di calciatori. Quello che, per regolamento FIFA, non si può fare è retribuire l’investitore con un corrispettivo calcolato percentualmente sul valore di cessione del calciatore»
 
Esistono squadre controllate direttamente o in parte dai fondi? E si può fare? 
«Esistono club che investono nel calcio a fini di lucro. Non vedo il problema. Che poi dietro ci sia un singolo proprietario o un pool di investitori non credo sia rilevante. Senza guardare troppo lontano, il Chelsea ha attualmente nelle sue fila 72 calciatori; alcuni dei quali non hanno mai messo piede in territorio inglese, anche per ragioni legate al visto, difficilmente ottenibile da calciatori senza esperienza. Vengono registrati e poi prestati over-seas. Questo permette, ad esempio, ai club inglesi di investire senza limiti, almeno in termini numerici, in calciatori sud-americani; pratica che, in Italia, non è possibile a causa dei limiti al tesseramento di extra-comunitari. In questo senso, i nostri club soffrono di un significativo svantaggio competitivo che ci siamo, per lo più, autoimposti».
 
Ci spiega quali sono le più grandi novità nel regolamento Fifa, nella compravendita dei calciatori?
«Recentemente, tranne per l’appunto la novità relativa all’introduzione del divieto di TPO, non vi sono state grandi novità in tema di “compravendita”, ovvero regole relative al trasferimento di calciatori. C’è stata, invece, una significativa riforma del regolamento agenti: un tema che, per complessità, risvolti e prospettive, merita forse un articolo a parte».
 
 
Pensa che tutta l'attenzione che c'è nei confronti dei fondi non c'è mai stata per esempio nell'acquisizione di grandi club da parte di singole persone fisiche, da Abramovich in poi?
«Credo di sì. Le ragioni della stampa, in fondo, sono comprensibili. Ma per un professionista del settore dev’essere diverso. Bisogna avere una visione d’insieme del fenomeno; senza ignorare, poi, che molte delle critiche mosse ai fondi, potrebbero, come detto in precedenza, essere rivolte anche ad altre entità. Pensi al caso di Gazprom, colosso russo del gas naturale: possiede lo Zenit San Pietroburgo e sponsorizza Schalke 04, Stella Rossa Belgrado e Chelsea, tutti club che partecipano a competizioni UEFA; di cui la stessa Gazprom è uno degli sponsor principali. La cito perché uno dei principali sostenitori del divieto di TPO è la UEFA stessa, che sostiene che il fatto che un investitore possa detenere partecipazioni in calciatori in club diversi che partecipano alla medesima competizione possa essere un rischio per l’integrità sportiva stessa della competizione. Ad esempio, perché l’investitore potrebbe avere interesse che un determinato club piuttosto che un altro si qualifichi alla fase successiva, al fine di esporre maggiormente un calciatore che intende prossimamente trasferire. Onestamente, faccio fatica a comprendere perché, delle due situazioni esposte, una dovrebbe essere ammessa e l’altra vietata. Vedremo cosa ne pensa la Commissione Europea, presso cui le leghe spagnola e portoghese (Liga de Fútbol Profesional – LFP e Liga Portuguesa de Futebol Profissional - LPFP) hanno presentato un esposto contro il divieto di TPO imposto dalla FIFA, per violazione del diritto UE in materia di concorrenza e libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali».

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