Il padre di Bertolacci: «Sa soffrire, arriverà lontano»

Parla il padre del centrocampista: «È maturato presto e ha capito cos’è il sacrificio»
Il padre di Bertolacci: «Sa soffrire, arriverà lontano»© Getty Images
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ROMA - Fabio Bertolacci è il papà di Andrea, è stato un grande campione anche lui e oggi è un dirigente sportivo. È stato campione del mondo Offshore, pluricampione d’Europa e d’Italia. Qualche giorno fa ha rilasciato al nostro Guido D'Ubaldo un'intervista che riproponiamo. Dopo un decennio negli Emirati Arabi, quando ha smesso con lo sport agonistico Fabiio Bertolacci è diventato dirigente e oggi è il delegato regionale Lazio della Federazione Italiana Motonautica. E’ stato anche il responsabile del progetto «Sport in famiglia», promosso dalla Cast Sub Roma, che ha avuto un grande successo il mese scorso al laghetto dell’Eur. Sono state coinvolte quattro discipline marine e altre diciannove, con lezione teoriche esibizioni, eventi, che hanno visto la partecipazione di 40.000 persone che hanno animato il parco. «Abbiamo abbinato lo sport al divertimento, con l’intento di tirar fuori nuovi campioni partendo dall’attività di base. Il calcio toglie spazio e visibilità alle altre discipline sportive, che hanno bisogno di farsi conoscere. In Italia di alcuni sport, come judo o scherma, se ne parla solo in occasione delle Olimpiadi, quando portano medaglie. In ogni sport si cerca l’atleta di riferimento, mentre il calcio non ne ha bisogno, ha già tanta visibilità. Io, dopo 18 anni ho riportato un titolo mondiale in Italia e non se ne è accorto nessuno. Domenica scorsa abbiamo fatto i campionati italiani a Fiumicino e nessuno ne ha parlato».

SPORT DI FAMIGLIA - «Mio padre Angelo, il nonno di Andrea è stato campione italiano di ciclismo, nell’inseguimento, era il 1954. Andrea è cresciuto in questo contesto. Ha cominciato come tanti bambini. Ha fatto nuoto, basket, poi ha scelto il calcio. E’ arrivato alla Roma dal Divino Amore, quell’anno in sette passarono a Trigoria, tra questi anche Brosco, un difensore che è arrivato in prima squadra. La nostra famiglia è di Spinaceto e la prima squadra di Andrea è stata l’Eur Olimpia. Arrivò alla Roma sotto età e ha sempre giocato con i più grandi. Noi gli abbiamo sempre trasmesso i valori sani dello sport: puoi arrivare solo attraverso il grande sacrificio. Ho sempre cercato di educare Andrea con questi principi, calciatori non si nasce, ci si diventa. Gli abbiamo sempre detto di non esaltarsi nei momenti di successo e neppure di demoralizzarsi nelle difficoltà. Quando era ragazzo non trovava spazio nella Roma e stava tornando nelle squadre di quartiere. Invece lui decise di restare, sopportando in quel periodo di non giocare la domenica, perché contava sulle sue qualità. Ho sempre tenuto a mente il rapporto con mio padre. Se sono arrivato dove sono arrivato lo devo a lui mio padre, anche se a un certo punto si era creato un dualismo tra di noi. Venendo da questa esperienza ho insegnato ad Andrea a scalare la montagna, più dal punto di vista mentale, che atletico. Poi, mio figlio ha la fortuna di essere seguito da uno dei migliori procuratori. Lo ha scelto Andrea, dopo che io mi ero studiato tutti i personaggi che si erano avvicinati a noi, quando lui era ancora un ragazzino ma aveva già avuto la prima convocazione in Nazionale. Pensavamo che con Lucci potesse fare un buon percorso ed è stato così. Per un padre è motivo di orgoglio vedere quello che ha fatto Andrea».

LUI E IL GIALLOROSSO - Ora che Bertolacci ha la possibilità di tornare a vestire la maglia giallorossa, il padre non si sbilancia, non vuole giudicare le sue scelte: «Per me è ininfluente, anche se non nascondo di essere tifoso della Roma, come lo è Andrea. Lui deve fare le sue scelte, il suo percorso e se vuole un consiglio glielo darò. E’ maturato in fretta, da quando decise di andare a giocarsi il posto a Lecce ed era appena maggiorenne, fresco di diploma. A scuola era un anno avanti, l’ha portata avanti fino a quando ha potuto. La madre lo ha aiutato molto in questo, a non abbattersi di fronte alla stanchezza fisica. La sera dopo gli allenamenti si addomerntava sui libri. A un genitore gli si stringe il cuore. Ricordo che a volte da ragazzino mi diceva: “Perché non posso fare la stessa vita dei miei coetanei?“. L’esperienza di Bertolacci può essere preziosa per i giovani che vogliono sfondare nel calcio: «Da sportivo e da genitore di un calciatore, voglio dire che a volte si creano aspettative dilatate e questo è sbagliato nella formazione di un ragazzo. Noi non abbiamo mai messo pressione ad Andrea. Quando non trovava spazio nelle giovanili della Roma io suggerii di tornare nella squadra del quartiere. Ma una dote di Andrea è la cattiveria agonistica, lo spirito di sacrificio nel raggiungere i traguardi. Anche a discapito della sua stessa vita, anche a costo di fare rinunce. Se lo vede mangiare a tavola...». Fabio Bertolacci per anni è stato un campione nel suo sport: «Nell’Offshore la differenza la fa la testa. Si corre sapendo che c’è un rischio calcolato, ma il rischio c’è. Purtroppo di motonautica si parla quando ci sono incidenti mortali, è uno sport spettacolare, ma anche in tv va solo dopo mezzanotte».

ANEDDOTO - Andrea con la barca ha detto basta da bambino. «Gli piaceva venire con me, ma un giorno stavamo facendo il rodaggio dei motori davanti a Fiumicino, ho fatto quello che non si deve fare: mi sono dimenticato che era con me, la barca prese velocità e Andrea ebbe paura. Io sono volato un paio di volte e mi sono sempre salvato. E’ stato un segno del destino. Io non ho fatto il ciclista e Andrea non fa corse con le barche. Vediamo quello che faranno i suoi figli, speriamo che sia soprattutto un buon papà. Io lo seguirò in qualsiasi squadra, anche se allo stadio vado poche volte. Me lo sono goduto quando era in Primavera. Oggi le tensioni che provano questi ragazzi sono enormi. Andrea si è formato a Lecce e a Genova, una piazza tosta. Del suo futuro non so nulla, davvero. Lucci è un amico e un ottimo professionista, farà il massimo per Andrea».


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