Ronaldo, febbre da zebra

Ivan Zazzaroni
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La febbre da zebra ha colpito tutti, da Torino a Madrid, da Lisbona a Mosca, ad alzare la temperatura fino alle punte più estreme hanno provveduto Tuttosport, sua la primogenitura della notizia, e poi A Bola, AS e Marca che, posseduta, si è addirittura spinta molto oltre - un’autentica immersione nella fantasia - ovvero a un passo dal ricovero coatto (“E’ fatta!”). Ieri non s’è parlato e scritto d’altro – e il Mondiale s’è mestamente sottomesso. Social, sms, radio, tv, lanci di siti di vario genere, alcuni di discutibile autorevolezza. Amici e parenti di giornalisti hanno chiamato i giornalisti amici e parenti: “Ma è vera quella di Ronaldo alla Juve?”, “ma è possibile?”, “ma come fa la Juve a prenderlo?”.

Marotta e Paratici hanno risposto, quando l’hanno fatto, sempre alla stessa, inevitabile domanda: “Ma lo fate sul serio?” Fanno sul serio? Tutto nasce dall’incontro tra Jorge “Mandrake” Mendes, agente di Ronaldo, e la dirigenza della Juve il giorno in cui Cancelo, seguito dallo stesso Mendes, arriva a Torino. Mandrake, che ha in mano il destino del fenomeno e vuole allontanarlo da Madrid - i rapporti col presidente Florentino Perez sono al minimo sindacale -, espone la trovata ingegnosa che permetterebbe di risolvere la situazione del prezioso assistito: la Premier è chiusa, il Psg non è una destinazione gradita e allora perché non provare a intavolare un discorso juventino? Marotta e Paratici (e indirettamente Mazzia) ascoltano con il giusto interesse, conoscono i numeri che sono distantissimi dai parametri Juve e, al momento, non possono essere considerati praticabili sul piano strategico: Ronaldo, che compirà 34 anni a febbraio, è un’impresa individuale da 30 milioni puliti a stagione, 60 lordi, insegue un contratto quadriennale e ha un costo di partenza di non meno di 100 milioni - esisterebbe una carta privata che annulla la clausola miliardaria. Si parla quindi di un affare da, minimo minimo, 350 milioni.

Ed ecco il primo, enorme ostacolo: la sostenibilità. La Juve, lo ricordo, ha appena speso un’ottantina di milioni tra Emre Can (16, di commissioni), Perin (15), Cancelo (40) e Favilli (7,5) a fronte dei 20 ricavati dalla cessione (con diritto di “recompra”) di Mandragora all’Udinese. Inoltre ha ancora in organico Higuaìn (nessuna richiesta, per ora) e Mandzukic al quale sono state fatte promesse che potrebbero non essere mantenute, anche se non è nello stile della società, oltre a Sturaro, Benatia e, appunto, al giovane Favilli destinato al prestito oneroso.

Ma c’è dell’altro, tanto altro: per tentare il colpo del secolo servirebbe innanzitutto l’entusiasmo della proprietà, l’estasi del Gruppo: non più tardi di qualche mese fa Andrea Agnelli, sempre attentissimo ai numeri anche a quelli dei titoli conquistati, presentò un piano industriale quinquennale estremamente “misurato” che prevedeva un assestamento sulle posizioni tradizionali e non contemplava slanci particolari in funzione della Champions. Del resto la sua politica negli ultimi sette anni è stata sistematicamente premiata: tra i vari punti rispettati, un acquisto e una cessione di rilievo ogni anno (dodici mesi fa via Bonucci, dentro Douglas Costa) e il controllo assoluto del rapporto costi-ricavi.


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