Da Malmö a Malmö, 14 anni dopo: la storia svedese di Ibra tra il rifiuto all'Arsenal e le biciclette rubate

Curiosità e aneddoti su Zlatan: l'idolo Romario e le difficoltà nelle giovanili. Poi il ritorno da campione e il maxischermo regalato ai tifosi
Da Malmö a Malmö, 14 anni dopo: la storia svedese di Ibra tra il rifiuto all'Arsenal e le biciclette rubate© EPA
Francesco Guerrieri
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MALMÖ - È il 1981, e in un freddo 3 ottobre una donna croata, Jurka Gravic, dà alla luce un figlio. Commosso il padre Šefik Ibrahimovi?, muratore bosniaco. Lo chiamano Zlatan, “dorato” in italiano. Ecco, da quel giorno sarebbe stato Zlatan Ibrahimovic. Un signor nessuno fino a poco più di 10 anni fa, ma oggi è uno dei giocatori più forti al mondo.

RAGAZZO DEL GHETTO - Il calcio era nel suo destino, a 5 anni già con gli scarpini ai piedi, comprati dalla mamma al supermercato per 59 corone dopo 14 ore di lavoro al giorno come donna delle pulizie. Vita dura quella di Zlatan, cresciuto a Rosengård, nella periferia di Malmö, dove venivano portati tutti gli immigrati come loro: fame e povertà si facevano sentire, la delinquenza dominava il quartiere. Mamma Jurka quando perdeva la pazienza lo picchiava con il mestolo di legno, a scuola si sentiva come un marziano e volevano metterlo in un classe per bambini con disturbi mentali. Poi bastavano due calci ad un pallone e al piccolo Zlatan tornava subito il sorriso. E meno male che c’era quello a portarlo via dalla strada e dalle brutte amicizie. Con in calcio è subito un colpo di fulmine: a 10 anni gioca già sotto età nel Balkan e ruba bicilette per andare agli allenamenti. Ma ne vale la pena, perché gioca e segna (tanto): pensare che in una partita ha fatto 8 gol partendo dalla panchina e ribaltando il risultato. Addirittura gli avversari hanno voluto controllare un documento per vedere se avesse rispettato l’età massima, figurarsi che lui era anche più piccolo degli altri…

IL RIFIUTO ALL’ARSENAL - Ore e ore davanti al computer a studiare i video di Ronaldo e Romario. Il salto è dietro l’angolo, e nel 1994 eccolo nel Malmö. Nelle giovanili non lega con i compagni, che provano a mandarlo via perché troppo piccolo. Ma lui ha un carattere forte e arriva in prima squadra. Le sue giocate fanno il giro del mondo, in Inghilterra c’è un allenatore che lo osserva e lo studia: Arsene Wenger vuole portare quel ragazzino di quasi due metri a Londra nel suo Arsenal. Va a trovarlo in Svezia, gli porta la maglia numero 9 dei Gunners con il suo nome e gli propone anche un provino, ma Ibra…. rifiuta: “Zlatan non fa provini” secco e deciso lo svedese. “E’ segno di debolezza” spiegherà più avanti. Bel caratterino fin da piccolo eh.

SOLO TOP CLUB - Poco male però, l’anno dopo arriva l’Ajax che non si azzarda a chiedere nessun provino. Trasferimento definitivo, Ibra vola verso il calcio che conta. Al primo anno di Zlatan gli olandesi vincono il titolo dopo quattro stagioni. Solo un caso? Non proprio. Perché lo svedese è sempre decisivo: segna, segna e segna. Qui conosce anche il suo procuratore Mino Raiola, quasi un secondo padre per lui. Ma la prima volta non gli ha fatto proprio una grande impressione: “Pensavo d’incontrare un uomo elegante, ma arrivò in t-shirt, jeans e con una pancia enorme: sembrava uno dei Soprano”. James Gandolfini forse (Tony), ma Raiola ha senza dubbio più fiuto per gli affari. Capello farebbe carte false per portarlo a Roma, lo vogliono anche Sunderland e Milan. Don Fabio se l’era già messo in testa però, e quando arriva alla Juve nel 2004 lo porta in Italia. Tra un mal di pancia e l’altro Ibra gioca nei tre principali club italiani: dopo i bianconeri va all’Inter e poi al Milan (“Con Onyewu siamo stati vicini ad ammazzarci”). Nel mezzo il Barcellona, dove il rapporto con Guardiola non è proprio il massimo: “Io sono come una Ferrari: se la compri devi metterci la benzina migliore e dare gas in autostrada, Pep ci ha messo il diesel e l’ha presa per farci un giro in campagna. Avrebbe potuto prendere una Fiat”. Chiaro no?! Dal 2012 è al Psg, in quella Ligue 1 che… “Non conosco bene i calciatori di questo campionato, ma sono sicuro che loro sapranno tutto di me”. Nel frattempo trascina la Svezia in Francia, perché: “Non esiste un Europeo senza Zlatan”. Sempre modesto, a 19 come a 30 anni.

CUORE D’ORO - Ma Ibra è così, prendere o lasciare. Cresciuto in quella periferia che mai scorderà: “Puoi togliere il ragazzo dal ghetto, ma non il ghetto dal ragazzo”. Antipatico ad alcuni per i suoi modi di fare, alla fine è un ragazzo di cuore. Diviso tra la sua Helena, i figli Maximilian e Vincent e la città di Malmö. E quando il sorteggio di Champions ha messo nello stesso girone il Psg e la sua ex squadra, per Ibra sarà stato un colpo al cuore. Quel 25 novembre cerchiato di rosso ormai da tempo. Aveva promesso un maxi schermo in piazza per permettere a tutti di vedere la partita e l’ha fatto. Nella conferenza di vigilia aveva lanciato un messaggio: “Spero di fare tre gol e che tutto lo stadio gridi il mio nome”. Eccolo, sempre il solito. Di gol ne è arrivato uno solo (Rabiot, Lucas e doppio Di Maria per il 5-0 finale), ma la standing ovation quella no, non è mancata. Tutti in piedi per il ritorno a casa di Zlatan. Se n’era andato da sconosciuto a 20 anni ed è tornato da campione. Abituato a lottare e a sudarsi le cose fin da piccolo, perché “Ibrahimovic non fa provini”.


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