Finché c'è Europa c'è speranza

Finché c'è Europa c'è speranza© AP
Giancarlo Dotto
3 min

Poche storie. Tre punti dovevano essere e tre punti sono stati. Mollette al naso e portarsi a casa il bottino, tenendoci eventuali obiezioni estetiche per altre occasioni. Qualificazione è cosa fatta (battendo il Real, probabilissimi primi nel girone). La testata di Manolas dopo quattro minuti (complice quell’Igor Akinfeev che ancora oggi, a distanza di quattro anni, è l’incubo di Fabio Capello, all’epoca allenatore della nazionale russa) spianava la strada da manuale. Il solito calcio da fermo. Palla nel mucchio e perticone svettante, insomma metodo Roma. A quel punto bastava irretire i modestissimi russi, largamente non all’altezza del loro pubblico, non svenire dal freddo e portarsi a casa la partita. Troppo facile. Questa volta era la fotta dell’esitante Santon a complicare la vita. Il Cska prima s’illudeva con il più talentuoso e poi si suicidava con il più scarso dei suoi islandesi. Undici contro dieci, alla Roma bastavano tre o quattro giocatori vivi, Kluivert e Pellegrini su tutti, per darsi e dirsi qualificati, non facendosi mancare qualche patema di troppo (troppo, davvero troppo friabili dietro).

Finire questa partita con il cuore in gola è delittuoso, al punto che Eusebio quasi si fa venire un coccolone per la rabbia. Molli dietro e davanti, spreconi al di là del tollerabile, ma con i tre punti in tasca e pazienza se si dovesse scoprire che il 2 a 1 di Pellegrini puzza di fuorigioco.

Mosca era il crocevia della morte. La stagione della Roma avanza faticosa nel piombo, anatra zoppa in campionato, costretta a immaginare come un’impresa il quarto posto. Non resta che sperare nella replica della bella favola del “c’era una volta in Europa...”. Mancare i tre punti di ieri sera sarebbe stato tombale.

Restano i dubbi, tutti. Resta il disagio. Non si sa perché circola da tempo questa storiella che la Roma sia una squadra bipolare. Nulla di più falso. Il problema della Roma è di essere casomai troppo uguale a sé stessa. Fin troppo decifrabile. Squadra fisica (ma solo o quasi nei calci da fermo), povera di talento e di convinzione, con pochissime idee di gioco. Che costruisce le sue alterne fortune sull’affidabilità e le prodezze occasionali di pochi, i soliti legionari, il portiere su tutti e questo Lorenzo Pellegrini, sempre più leader.

La buona notizia della serata si chiama Justin Kluivert, effervescenza pura ma questa volta al servizio della squadra. Che, assommata allo Zaniolo di Firenze (buoni anche i dieci minuti di Mosca), fanno sperare che ci possa essere, non lontana, un’altra Roma per cui emozionarsi.


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