Venezia, tifosi eroi: sei ore fra vaporetto e partita

Lo stadio Penzo è sull'isola di Sant'Elena
Venezia, tifosi eroi: sei ore fra vaporetto e partita© FOTO SCHICCHI
Xavier Jacobelli
4 min

VENEZIA - «Lo sa quanto tempo ci mette un nostro tifoso per raggiungere il Penzo, seguire la partita del Venezia e ritornare a casa?». Quanto, dottor Scibilia? Il direttore generale del Venezia sorride: «Mediamente, abbiamo calcolato sei ore fra parcheggio, vaporetto e ritorno. Occorre meno tempo per arrivare a Udine e assistere a una gara di serie A. L’isola di Sant’Elena su cui sorge l’impianto, è la più lontana da Venezia; ci sono ancora i tubi Innocenti; la tribuna è in miniatura; i vincoli della Soprintendenza sono tanto legittimi quanto fonte di tempi lunghi anche per un minimo intervento di manutenzione. Chi viene a vederci è un autentico eroe. In serie D avevamo 786 abbonati; in Lega Pro li abbiamo raddoppiati, gli spettatori paganti continuano a crescere e penso che dopo la vittoria di Parma cresceranno ancora, ma capisce come mai per il Venezia lo stadio sia davvero una questione vitale?». All’anima, se lo è.

COSI' IL VENEZIA SOGNA

I BANDITI. Costruito nel 1913, intitolato alla memoria dell’aviatore Luigi Penzo, con rispetto parlando, l’impianto di Sant’Elena sarà pure suggestivo data la sua collocazione in laguna, ma è sicuramente uno fra i più vetusti e obsoleti del calcio professionistico italiano. Scibilia racconta: «Fra le molte promesse della proprietà russa c’era anche la soluzione del problema. Naturalmente, è rimasta una chimera». La sensazione, colloquiando con l’uomo che, ha efficacemente annotato Tacopina, «ha tenuto a galla la gondola durante la tempesta», è una sola: il direttore generale del club ne ha viste talmente tante che ora non ha più paura di nulla. Scibilia è il prototipo del dirigente moderno, modello terzo millennio, s’intende. E quando pensi alle troppe cariatidi che ancora infestano il Sistema, a cominciare dalla serie A, non puoi che augurare ogni bene al Venezia e ai suoi dirigenti. «Il nostro club ha scontato tre fallimenti in dieci anni, proprietà da un certo punto in poi latitanti, casse vuote, problemi a non finire. Quando abbiamo capito che i russi si squagliavano, abbiamo cominciato a cercare un’alternativa, in Italia e all’estero. Le confesso che ho incontrato molti banditi, gente che voleva fare affari sulla pelle del Venezia fregandosene del Venezia, della sua storia, dei suoi tifosi, della città. Ci sono 100 posti al mondo che si chiamano Venezia, 22 milioni di turisti che ogni anno visitano Venezia, un nome, un marchio universale. Non potevamo arrenderci e non ci siamo arresi. E il merito va anche ai dipendenti che per quattro mesi non hanno percepito un euro, ma non hanno mollato e oggi sono qui a godersi la differenza che passa fra il giorno e la notte. Perché fra i russi e gli americani alla guida del Venezia è proprio questa la differenza. Mi creda».

RIPARTIRE DA ZERO. E poi arriva Tacopina. Scibilia s’illumina. «Quest’uomo è una fonte perpetua di energia. Ha in corpo una tale passione e un tale ottimismo che è difficile non rimanerne contagiati. Ama l’Italia, il calcio, Venezia. Lo galvanizza la prospettiva di essere ripartito da zero insieme con noi. Ha carisma, personalità. Lo sa che, a una a una ha voluto incontrare tutte le istituzioni? Il sindaco, il presidente della Provincia, il Governatore, l’autorità portuale, il Teatro La Fenice. Il presidente è americano sino al midollo ed è abituato a dire ciò che pensa pensando a ciò che dice, senza se e senza ma. Ha un obiettivo: riportare il Venezia in serie A. Sa che ci vorranno tempo, pazienza, fortuna e lavoro. Tanto lavoro. Ma questa è l’ultima cosa che possa spaventarlo ». La struttura societaria, l’organizzazione della squadra, l’arrivo di Perinetti in serie D e di Inzaghi dopo la promozione in Lega Pro, gli investimenti nel settore giovanile, la comunicazione declinata su ogni canale, lo sviluppo del marketing e della commercializzazione del marchio. Il Venezia è un cantiere aperto, i lavori sono in corso. Ma questi signori non sanno che cosa sia la stanchezza.


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