Italia-Svezia, ecco perché bisogna avere fiducia

Passiamo noi, dev’essere lo slogan, perché non c’è alcun motivo per credere o addirittura (come fa qualcuno, fingendo il contrario) di immaginare che non succeda
Italia-Svezia, ecco perché bisogna avere fiducia© Getty Images
Alessandro Vocalelli
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ROMA - Partiamo dalla fine: dalla domanda che si fanno tutti («Ma possiamo davvero ancora farcela?»), alla risposta più impegnativa. Sì, passiamo noi. È l’atteggiamento, convinto, che sposiamo e dovrebbero avere tutti i tifosi della nazionale azzurra, anche quelli - per moda, o «perché così mi si nota di più» - che invece invocano l’Apocalisse come il modo, estremo, di pagare d’un colpo tutti i nostri peccati. Come se esistesse il calcio italiano - dieci, venti trenta persone - e dall’altra parte tutto il movimento (innocente) di uno sport che non si sente rappresentato (ma è mai successo?) dalla Federazione, dal Ct, da uno staff incapace e da questi giocatori senza cuore che non riescono neppure a capire il momento.

Non ci mettono grinta, carattere, hanno detto di Buffon, Bonucci, Barzagli, Chiellini, De Rossi, gente che ha inanellato scudetti, si è confrontata con tutti i grandi d’Europa e alcuni hanno anche vinto il Mondiale. Se non ci fosse da ridere, verrebbe davvero da scandalizzarsi della facilità con cui si parla di una cosa serissima come il pallone. E allora permettemi di dire che, venerdì, il migliore in campo è stato Walter Zenga: preciso, puntuale, mai però invadente o arrogante come quelli che danno quasi l’impressione di avere un conto personale da saldare, magari anche con se stessi. Ma «Passiamo noi!» non è solo per questo. Passiamo noi, dev’essere lo slogan, perché non c’è alcun motivo per credere o addirittura (come fa qualcuno, fingendo il contrario) di immaginare che non succeda. Perché l’Italia è più forte della Svezia, perché uno come Buffon non ci mette la faccia se non è convinto, perché Ventura non è la rovina del calcio italiano, come si sta cercando invece di dipingere. Detto da chi, con largo anticipo, gli ha contestato formazioni, moduli e atteggiamenti, mentre imperversavano, piovevano, ammiccamenti e sorrisi. Che può farci Ventura - si diceva - se questo è il livello dei nostri calciatori? Oggi, no. Oggi l’Italia, dicono gli stessi, ha una squadra di livello e un Ct incapace. Comportamento classico di chi è cresciuto in piedi ai bar. Non quelli che si mettevano seduti, dieci carte in mano, provando a indovinare la giocata giusta. No, quelli che dalla loro posizione privilegiata - un’occhiata qua e un’altra là - sapevano sempre cosa fare. E non sbagliavano mai. Ingaggiando furiose risse dialettiche, perché lo sport più popolare, e in qualche caso più redditizio, è quello di prendersi sempre la vittoria a tavolino. E in questo caso non c’entra quello del bar.

Passiamo noi, perché Ventura ha probabilmente sbagliato molto nel riempirsi la testa di pensieri, anche se non ci sarà mai la controprova e anche questo è un bel vantaggio per chi scrive, ma stavolta non avrà più tempo di ascoltarsi e di ascoltare gli altri. Si tratta semplicemente, o solennemente, soltanto di giocare a calcio. E in questo, nella conoscenza del pallone, il Ct non è assolutamente quella canna al vento che a qualcuno fa piacere immaginare e rappresentare. Non c’è tempo però - e anche questo è un bel vantaggio - di guardare troppo avanti. Conta la Svezia, non il percorso che magari anche il Ct si era fatto in testa. Innestando in questa Nazionale già un pezzo di futuro. Perché questo, questo sì, è stato il vero errore di Ventura: sottovalutare le difficoltà del più complicato momento di passaggio della storia della nostra Nazionale. Stretta in un imbuto, con i big orgogliosamente ancora in prima linea e i giovani non ancora pronti a raccogliere il passaggio di consegne.

Perché lo diciamo oggi, nel momento più sofferto e complicato: non è vero che l’Italia, calcisticamente, è una nazione povera. Dietro Florenzi e Romagnoli, Berardi e Bernardeschi, Immobile e Verratti, Belotti e Insigne, c’è un gruppo che ci regalerà grandissime soddisfazioni. Da Barella a Chiesa, da Donnarumma a Pellegrini, il calcio italiano non ha mai avuto un futuro così azzurro. Ora, però, non c’è e non ci dev’essere tempo per pensarci. Né di immaginare quello che accadrebbe in caso di eliminazione, perché è chiaro che il fallimento sarebbe generale. Così come non è il caso - anche da chi ne ha sempre auspicato la presenza - di stare lì a incentrare tutto sulla presenza di un talento come Insigne. Perché mai come stasera, con novanta minuti che possono anche diventare centoventi, si giocherà in quattordici, o meglio si giocherà con tutti quelli che neppure prenderanno parte al riscaldamento. Perché si tratta di battere la Svezia, di andare al Mondiale e poi, questo sì, di capire come e dove si può davvero migliorare. Passiamo noi. E poi, con calma e senza pregiudizi, mettiamoci seduti. Senza dare però ascolto a tutti quelli che, dall’alto e a carte viste, sanno sempre cosa fare. Meglio, come ad esempio fa Buffon, metterci la faccia. Dai, passiamo noi!


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