«Mi aveva scelto il Chievo, ho...scelto il Papa»

Davide Tisato domenica è stato ordinato sacerdote e ha "esordito" accanto al Santo Padre: «Il calcio deve unire»
«Mi aveva scelto il Chievo, ho...scelto il Papa»© Ansa
Fabio Donfrancesco
5 min
ROMA - Le vie del Signore sono infinite. Come quella che ha spinto Davide Tisato, giovane promessa del calcio veronese, a rifiutare l’invito a entrare nelle squadre giovanili del Chievo per rispondere a un’altra chiamata, quella della sua vocazione religiosa. Davide ieri era un difensore centrale, con notevoli doti atletiche e tecniche, oggi è un giovane sacerdote che svolge il ruolo di pastore a Roma, presso la parrocchia di San Vigilio all’Eur. Domenica mattina, infatti, è stato ordinato sacerdote da Papa Francesco a San Pietro insieme ad altri 18 seminaristi, otto italiani e dieci stranieri. Il Santo Padre, fuori da ogni protocollo come è sua abitudine, al termine della cerimonia, lo ha voluto accanto alla finestra del palazzo Apostolico per il tradizionale Angelus e la benedizione domenicale ai fedeli riuniti in piazza San Pietro. «In realtà sono stato io a chiedere a Papa Francesco, mentre stavamo facendo la foto ricordo tutti insieme con i nostri formatori, di poterlo accompagnare con un altro confratello per l’Angelus… Ha detto subito di sì. Ci siamo tolti velocemente i paramenti e siamo saliti in macchina con lui per raggiungere il Palazzo Apostolico. In ascensore ci ha confidato che avevamo avuto una bella faccia tosta, ma che dovevamo averla anche per servire Dio e la Chiesa».

Cosa l’ha spinta a lasciare la maglia da giocatore di calcio per indossare l’abito talare?
«E’ stata un’opera del Signore: dico sempre che Dio non toglie a, ma ti dà tutto. In verità ero molto legato al mondo del calcio. Da piccolo mamma Clara e papà Edoardo mi hanno spinto insieme ai miei due fratelli e tre sorelle a praticare diversi sport. Mi piaceva il salto in lungo. Poi la rivalità con mio fratello più grande Gregorio, che già giocava al calcio, mi ha spinto a mettermi gli scarpini. Ho iniziato nel Crazy Verona, poi ho fatto diversi provini, anche con società professionistiche come il Parma. Nel 2003 giocavo nel campionato di Promozione, mi avevano già chiamato al Chievo, quando ho deciso di entrare in seminario a Roma. Sono stato accolto al Redemptoris Mater, in una zona periferica in mezzo al verde tra la via Aurelia e la via Boccea».

Tra preghiere e salmi, è riuscito nel tempo libero a scendere di nuovo in campo?
«Devo ringraziare i nostri superiori al Seminario che hanno sempre dato una grande importanza alla pratica sportiva nel cammino di formazione spirituale, intellettuale e umana per una crescita equilibrata della persona. Il campo di calcio e la tavola imbandita sono due luoghi ideali per conoscere chi sei veramente. Così quasi tutti i pomeriggi giocavo con gli altri circa 80 seminaristi provenienti da tutto il mondo. Nel 2007 poi è stato organizzato il torneo della Clericus Cup».

E come è andata?
«Noi della Redemptoris Mater abbiamo vinto la prima edizione, io sono poi diventato anche il capitano. L’anno successivo siamo arrivati in finale, poi lo abbiamo riconquistato per altri due anni di seguito. In questa stagione siamo usciti però ai quarti. Non si può sempre vincere…».

Ha giocato quindi con tanti fratelli “stranieri”?

«In squadra si parlavano tante lingue diverse, ma eravamo accomunati dai medesimi valori di lealtà sportiva e rispetto reciproco. Poi, durante un periodo di studio in Palestina, ho giocato insieme a ragazzi ebrei, palestinesi e musulmani. Dietro il pallone si anano tutte le differenze».

A questo proposito, cosa pensa degli atti di razzismo e discriminazione negli stadi in Italia?
«Lo sport deve unire, non dividere. Il linguaggio sportivo è universale, come quello cristiano, supera confini, razze e religioni. Favorisce il dialogo e l’accoglienza verso il diverso».

Papa Francesco, in un discorso ai giocatori di Napoli e Fiorentina, invitava a non accontentarsi nella vita di un “pareggio mediocre”.
«Il gioco del calcio, come lo intendiamo noi, non solo all’interno degli oratori e delle parrocchie, è veicolo di educazione ai valori dell’onestà e della solidarietà fra i giovani. Non certo al consumismo, al solo profitto e alla vittoria a tutti costi, con degenerazioni come il doping. Insieme al parroco Don Demetrio, nella nostra parrocchia abbiamo deciso di tenere sempre aperte le porte dei campi sportivi».

Lo sport può svolgere ancora un’opera educativa delle giovani generazioni e i campioni del pallone sono veri testimoni e modelli da imitare?
«Resta sempre un mezzo di crescita della persona. Valori come fair play, disciplina, accettare volentieri la fatica degli allenamenti per raggiungere un obiettivo, sono ancora validi».

Papa Francesco è un tifoso del San Lorenzo. Lei, stando a Roma da diversi anni, per chi tifa al derby?
«Vinca il migliore»




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