Il Prefetto Gabrielli attacca Roma e Lazio

Rotto il silenzio: «La partita con le curve vuote? Mi dispiace ma i club non ci aiutano, serve responsabilità»
Il Prefetto Gabrielli attacca Roma e Lazio© ANSA
Marco Evangelisti
4 min

ROMA - Un atto d’accusa alle società coinvolte, cioè Lazio e Roma, indiziate di aver fatto finta di niente. E nessuna indulgenza nei confronti dei tifosi, quelli ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico naturalmente. Ma anche uno spiraglio, una proposta di pace che non possa in nessun modo essere scambiata per una richiesta di compromesso. Il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, ieri sera ha parlato al Processo del Lunedì sulla questione delle curve dell’Olimpico, la loro divisione in segmenti più piccoli attraverso la collocazione di barriere trasparenti. «I due settori, in particolare la Curva Sud romanista, avevano una capienza abnorme. Da quella ipotetica e già sovrastimata di 8.700 si arrivava a 11-12.000 spettatori». Ecco perché, aggiunge Gabrielli, non sarebbe bastata la videosorveglianza come proposto da alcuni tifosi. La Roma fornisce dati lievemente diversi: 9.000 i posti di partenza. Ma si tratta di sfumature nel quadro che propone il prefetto: «A me sta a cuore l’incolumità della gente. La prospettiva di un derby romano con le curve vuote mi provoca dispiacere, perché dovrebbe trattarsi di un momento di partecipazione».

VICINANZA - Gabrielli si riferisce allo sciopero che le due tifoserie stanno portando avanti sin dalle prime giornate di campionato, sia contro la scelta delle istituzioni di installare le barriere sia contro i club accusati di non tutelare i sostenitori storici. E il prefetto non ha l’aria di dare loro tutti i torti, anzi: «Le due società hanno subito la nostra decisione e, sia pure con atteggiamenti di collaborazione diversi, credo non ci abbiano dato una mano. Noi avevamo comunicato che avremmo diviso le curve e ristretto la capienza e io onestamente mi sento di essere vicino al tifoso che magari ha comprato l’abbonamento pensando di stare vicino a persone con le quali condividere la passione calcistica». Non solo. Gabrielli invita i club, tutti i club, ad assumersi la responsabilità della sicurezza degli stadi: «Trovo un po’ immorale che nell’ultimo derby lo Stato abbia dispiegato 1.700 uomini per garantire lo svolgimento di una partita di calcio, a fronte del fatto che in alcuni municipi ci si lamenta di non trovare neanche una pattuglia dei carabinieri. Queste modalità in un Paese serio che ha a cuore la propria immagine devono essere superate. Principalmente con un’assunzione di responsabilità da parte dei club».

SPIRAGLI - Con lo sciopero e i tifosi fuori dello stadio il rischio è che le tensioni si spostino in citta. «E’ un’evenienza. Il questore e le forze di polizia stanno lavorando anche a questa ipotesi. Mi auguro venga scongiurata». Ma Gabrielli, appunto, si rende conto di quanto la situazione si avvii verso l’insostenibilità. Anche perché ha preso atto degli oggettivi disagi a cui i tifosi tra barriere e prefiltraggi vengono sottoposti. E lascia uno spiraglio: «Più il confronto si radicalizza meno spazi ci saranno per una gestione diversa. Queste manifestazioni (si riferisce allo sciopero, ndr) mi convincono ancora di più della necessità di regole un po’ più dure. Se invece la gente ritornerà nelle curve e dimostrerà con i comportamenti che la sicurezza può essere garantita anche in altro modo, nessuno sarà così ottuso da non rivedere le proprie posizioni. Se si tratta di un braccio di ferro è chiaro che per loro sarà perdente. Ne va della credibilità dello Stato». Nessun commento da parte della Lazio. Neanche da parte della Roma. Però a Trigoria apprezzano il fatto che Gabrielli abbia sottolineato come le nuove misure siano state «subite» dai club. Proprio quello che la società ha sostenuto sin dall’inizio di questa vicenda. E si sentono innocenti anche per la questione della capienza: quando hanno saputo delle barriere, la campagna abbonamenti era partita da tempo ed erano già stati venduti oltre 8.000 abbonamenti. Vero, però il danno subito dai tifosi resta.

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