Federazione Italiana Giuoco... Carlo?

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Federazione Italiana Giuoco... Carlo?© ANSA
Alessandro Vocalelli
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E così oggi sapremo. Sapremo se esiste la Federazione Italiana Giuoco… Carlo, stretta intorno al presidente Tavecchio, o se il movimento ha finalmente deciso di mettersi in discussione, senza scaricabarile e senza caccia alle streghe, senza cercare facili colpevoli e senza perdere l’unica occasione che - paradossalmente - ci ha offerto l’eliminazione dal Mondiale: rifondare il pallone. Per farlo, per cominciare un processo di rinascita, è però indispensabile un passo indietro, di lato, chiamatelo come volete, di tutti quelli che sono lì aggrappati a una poltrona, preoccupati soltanto di tutelare il proprio interesse, nel migliore dei casi impegnati a difendere ostinatamente la propria storia, convinti che valga più di ogni cosa. Si può sbagliare, e si è sbagliato molto, ma perseverare - questo sì - sarebbe imperdonabile.

Smettiamola, smettetela, di cercare sempre un riparo, offrendo un comodo bersaglio, come è diventato Ventura - a cui viene spontaneo a questo punto offrire una solidarietà personale - che dev’essere entrato nottetempo negli uffici della Figc, per firmare un contratto senza che nessuno sapesse o fosse d’accordo. Sarà utile, un giorno, ripercorrere i giorni della nomina, tra telefonate e incontri segreti, con presidenti di club affannati a raccontare verità improvvisate e di comodo, pur di sostenere il «progetto».

Come sarebbe utile, ora, rimettere ordine sulla valanga di voci che hanno accompagnato Ancelotti nelle ultime ore, fino a decretare apparentemente il suo totale, definitivo, irrevocabile rifiuto alla Nazionale. Perché non è esattamente così. Lui, Ancelotti, non è giustamente disposto a fare da parafulmine a tutto, sovrapponendosi con la sua figura autorevole ai problemi del movimento, ma non ha neppure pronunciato quel «no» insindacabile che gli è stato attribuito. Per un motivo così semplice, e perfino banale: se anche il Consiglio decadesse questo pomeriggio, si andrebbe a nuove elezioni entro tre mesi. Solo a quel punto il nuovo presidente - perché a lui spetta di diritto la nomina - sceglierebbe il Ct. Considerando che gli azzurri cominceranno tra l’altro a giocare nuovamente in primavera, che senso avrebbe mettere un punto a novembre?

È, però, necessario, prima ancora di pensare al nuovo tecnico, guardarsi negli occhi e accettare una realtà inconfutabile. Non sono le istituzioni o una parte delle istituzioni a fare pressione, non sono gli avversari di sempre a chiedere il conto di una sconfitta, ma è la gente, sono i tifosi, a pretendere un cambio di marcia ormai inderogabile. Perché in questo ha addirittura ragione Tavecchio: la sconfitta contro la Svezia è sicuramente il punto più basso della nostra storia calcistica, ma era già chiaro, chiarissimo, l’avvicinarsi del precipizio. Gli italiani stavolta si accontenteranno - malinconicamente - di assistere alle sfide tra Svezia e Senegal, Iran e Panama, Costarica e Arabia Saudita. Ma nel 2010, al Mondiale, siamo stati battuti al primo turno da Nuova Zelanda e Paraguay. Nel 2014, al primo turno, dalla Costarica. Senza dimenticare gli insuccessi politici che non ci siamo fatti mancare: in vista del 2012, abbiamo avanzato la candidatura per organizzare un Europeo, ci hanno battuti Polonia e Ucraina. In vista del 2016, ci abbiamo provato di nuovo e manco a dirlo ci ha battuti la Francia. Insomma, bisogna capire come possiamo tornare a contare in campo e fuori, dopo aver acquisito un certo prestigio negli organismi che contano, provando magari a essere scelti da qui a dieci anni per organizzare una manifestazione di alto livello internazionale.

E anche su questo bisogna lavorare ed insistere. Crederci. È per questo che tutti, ma proprio tutti, dovrebbero fare - in questo caso - un passo avanti, chiamati a rispondere alla propria coscienza e non a farsi guidare dal proprio orgoglio o - diciamocelo - da un desiderio originale e improvviso di ergersi a paladini della coerenza. Prendete Ulivieri, che tecnicamente è stato anche il più vicino a Ventura - come presidente degli allenatori italiani - e non riesce a capacitarsi di questa voglia improvvisa di cambiamento che agita il nostro Palazzo. Lui che nell’estate del 2011, in contrasto con l’allora numero uno della Dilettanti, signor Carlo Tavecchio, si incatenò davanti alla Federazione. Oppure Nicchi, il presidente degli arbitri, irremovibile nella richiesta di aprire - attraverso le dimissioni dell’intero Consiglio - un vero, proficuo, processo di risanamento e confronto. Eppure anche lui ha navigato mari agitati, dimostrando di saper cogliere le opportunità. Da oppositore irremovibile della moviola in campo, durante la gestione poi andata in pezzi di Michel Platini - che riteneva le immagini in presa diretta una sciagura per tutti - oggi dipinge la svolta tecnologica come «una garanzia assoluta che tutti devono sostenere». Insomma, l’importante è vivere sempre di dubbi. Già, basterebbe avere dei dubbi. E’ davvero chiedere troppo?


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