Moggi confessa: «Ronaldo a 33 anni non lo avrei preso»

Radiato ma non sdraiato, continua a esser cercato da tutti: «Mi sento spesso con Andrea Agnelli. È stato con noi 12 anni e ha imparato tutto. Cristiano, roba Fiat. Allegri mi ascolta». Del Piero che non voleva Capello. E poi Ancelotti, Galliani....
Moggi confessa: «Ronaldo a 33 anni non lo avrei preso»© lapresse
Giancarlo Dotto
4 min

ROMA - Questa mi mancava. Belzebù che gioca a burraco nel giardino di casa, a Monticiano, in un tardo pomeriggio assolato, con la moglie, la sorella e il cognato. Sarò amorale e in parte mi disapprovo, ma a me Lucky Luciano Moggi piace. Non lo abbraccio solo perché sa di sigaro. Non entro nel merito della sua anima, se bianca, nera o macchiata che non va via nemmeno con il carbonato di sodio. Moggi lo conosco da quando era il boss della Juve. Lui fa finta di protestare, ma neanche tanto, quando lo chiamano “boss”. Io non ci faccio caso. I boss veri, quelli che comandano con un’impercettibile declinazione dello sguardo, si percepiscono come uomini virtuosi. Da Al Capone in giù. Luciano mi piace perché è un boss da manuale, cinematografico, e anche un italiano vero. Ha il culto della famiglia, il capello tinto, gioca a carte, gli piace sedere a capotavola, fuma il sigaro in faccia alla gente e ha la statua di Padre Pio in giardino. E quando ha finito di mangiare ha la patacca di sugo al centro della camicia come un colpo al cuore. Lui è un onestissimo prototipo e di questo gli sono riconoscente, nel senso che si fa riconoscere. Colossale granchio pensarlo in braghe e ozi da pensionato.

Lucianone è più vivo che mai. Lo hanno radiato ma non sdraiato. Il suo sguardo è sempre quello di un boss. Sembra fissare il vuoto, ma solo perché devi essere tu a meritarti il diritto di essere accolto nel suo raggio. Adesso ha imparato a giocare anche a burraco e naturalmente odia perdere. Infatti, vince.

Trent’anni più o meno che ci conosciamo.
«Non lo dire, che poi fanno i conti».

Presto fatti: 81 anni appena compiuti e stai una bellezza.
«Cerco di tenermi in forma. Tapis roulant, cyclette, vogatore. Sai com’è, qui non bisogna mollare». [...]

Chi ti chiama?
«Gli amici. Ne ho tanti ancora nel calcio. Ma resto vicino alla mia Juve. Con Andrea Agnelli mi sento spesso. E’ un ragazzo sveglio. E’ stato con noi 12 anni e ha imparato tutto. Lui lo sa bene che gli scudetti sono 36, tutti conquistati sul campo. Nessuno ha mai aiutato la Juve a vincere».

Cristiano Ronaldo. L’hai suggerito tu?
«No, lì è roba Fiat. E comunque io Cristiano Ronaldo l’avevo comprato. Aveva 18 anni e giocava nello Sporting di Lisbona. Lo vidi e la mattina dopo firmai il contratto. Cinque miliardi più il nostro Salas, al quale avrei anche regalato un miliardo di buonuscita. Ma poi Salas preferì il River Plate e su Ronaldo arrivò il Manchester United. All’epoca era crisi nera alla Juve. Non avevamo una lira».

L’avresti preso oggi?
«Come marketing, un’operazione straordinaria. Ma io non avrei mai preso un giocatore di 33 anni a quelle cifre e certo non l’avrei mai sbandierato prima di vendere Higuain, uno che comunque ti fa 20 gol a campionato».

Metodo Moggi?
«Prima avrei venduto Higuain per 50 milioni e solo dopo avrei annunciato Ronaldo. Vuoi sapere la storia vera di Zidane al Real? Viene da me il mio amico Florentino Perez e mi fa: “Punto a diventare presidente del Real, se dico che compro Zidane posso riuscirci”. Gli rispondo: “Ti autorizzo a sbandierare questa cosa, ma poi non so se te lo do davvero».

Gliel’hai dato.
«Quando capisco che Perez poteva essere eletto davvero, vado in gran segreto da Cragnotti e compro Nedved, a Parma prendo Buffon e Thuram. Nessuno sapeva niente di Zidane. Avessero saputo, quei tre li avrei pagati molto di più. E poi ho incassato i 150 miliardi di Zidane, di cui 145 di plusvalenza».

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