Caso Khashoggi, no alla finale in Arabia Saudita

Caso Khashoggi, no alla finale in Arabia Saudita© LaPresse
Fulvio Abbate
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Nessuna concessione alla realpolitik. La denuncia dell’efferato assassinio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, avvenuta il 2 ottobre scorso nei locali del Consolato del suo paese a Istanbul, dovrebbe essere un dato dirimente, rispetto al quale il calcio, meglio, lo sport tutto, ha il dovere, se non l’obbligo etico, di sfidare un avversario ulteriore, ben oltre quello che troverà in campo. Quell’avversario inaccettabile prende nome, talvolta, proprio di realpolitik e veste piuttosto la maglia di un interessato cinismo nella prospettiva del denaro. Per questa ragione la Supercoppa italiana, tra Juventus e Milan che si giocherà nel gennaio prossimo un’altra volta all’estero, dovrebbe trovare un altro luogo, un altro campo, un altro orizzonte etico che non sia quello previsto proprio in Arabia Saudita.

Sappiamo che la Lega Calcio nel giugno scorso ha ufficializzato un accordo triennale per una cifra di poco superiore ai 20 milioni, 7 annui, circa il doppio rispetto agli accordi precedenti proprio con l’Arabia Saudita, che appunto dovrebbe ospitare la finale a Gedda, nello stadio “King Abdullah”, sappiamo ancora che negli ultimi anni sempre il nostro Paese è andato sovente a prendere denaro all’estero: dopo i tentativi estemporanei in Libia e in Usa a cavallo del 2000, c’è stato un lungo periodo in Cina, e negli ultimi anni sono infine spuntati i soldi arabi, tutto vero, ma ciò non può giustificare il silenzio, l’indifferenza, la vittoria appunto dell’opaca realpolitik sulla fine orrenda, meglio, sul corpo straziato, fatto a pezzi, da sicari del regime saudita, di un giornalista, Jamal Khashoggi appunto. Come ha scritto il deputato Pd Luca Lotti, «la comunità civile internazionale deve far sentire la propria voce, a tutti i livelli». E Amnesty International Uk ieri ha lanciato un appello direttamente a Juventus e Milan: «Devono capire che la loro partecipazione a eventi sportivi in Arabia Saudita potrebbe essere usata come forma di “sportwashing”», l’evento per rifarsi un’immagine insomma, e si chiede di riflettere su quale segnale manderebbero al mondo.

Per questa ragione di elementare buon senso civile va immediatamente bloccata la decisione di giocare la finale di Supercoppa italiana lì. Già, soltanto nella prospettiva amorale della realpolitik e del cinismo è comprensibile immaginare che prevalga l’interesse economico attorno a quella partita di calcio, posto che ciò che è accaduto nel consolato dell’Arabia Saudita di Istanbul è pura macelleria. Presumibilmente, lo stesso appello deve essere rivolto alla Lega Calcio affinché riconsideri la decisione di giocare il match Juventus-Milan in Arabia Saudita e perfino il Governo deve fare ogni sforzo possibile per evitare che il calcio italiano scriva una pagina di rifiuto nella difesa dei valori e dei diritti, poco importa che l’erede al trono arabo, Mohammad Bin Salman, principale accusato dell’omicidio Khashoggi, pare sia intenzionato a rilevare il Manchester United per una cifra attorno ai quattro miliardi di sterline. Accade talvolta che non si possa giocare sulle povere ossa degli innocenti, chi rimane, chi è testimone degli scempi ha il dovere in questi casi di fermare il gioco, o comunque far sì che abbia luogo lontano dal silenzio delle ideali fosse comuni a bordo campo. 


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