Cutrone e Insigne, gol e classe: è l’Italia che non teme nessuno

La concorrenza straniera non li ha fermati. E con costanza si sono presi un posto in primissima fila
Cutrone e Insigne, gol e classe: è l’Italia che non teme nessuno
Antonio Giordano
3 min

CASTEL VOLTURNO - Così diversi eppure così terribilmente eguali, perché pure nel calcio ogni mondo è paese. Così distanti e invece così indiscutibilmente vicini, aggrappati a quel retroterra culturale (?) che li rende simili, finalmente affrancati (forse, chissà) da luoghi comuni scolpiti nell’erba e ramificati qua e là, nella diffidenza altrui. Così scugnizzi - ognuno a modo suo - e quindi così ribelli da prendersi il pallone e tenerselo per sé, almeno fino alle prossime perplessità, sciorinando il talento e l’esuberanza, quella faccia tosta da sistemare nei dribbling o nell’evoluzioni, coscienti che ci sarà sempre un rompiscatole pronto ad alzare la manina per guardarsi il dito, mica le stelle di questo made in Italy che si prende la Scala per mostrarsi ancora un po’. Si scrive Cutrone e però si ripensa anche a Insigne, le generazioni di fenomeni che vanno alla sfida incrociata fingendo di non avvertire il vento dell’Est, la partita doppia da giocare sul filo di analogie avvertite su quel ramo del lago di Como e identiche nelle modalità alle sofferenze vissute in epoche non sospette da quel genietto al San Paolo.

ITALIANS - Italians do it better, in area di rigore o nei paraggi, e fa niente se per chiunque - per Cutrone e anche per Insigne - sia stato complicato e ancora un po’ tale resti, riuscire ad inventarsi profeta in patria, sfuggendo ai pregiudizi e dribblandoli e prendendoli a spallate, dopo aver rovistato in quel patrimonio personale che ognuno lascia brillare come può. Milan-Napoli è un concentrato d’estro e di fantasia da scaricare in questo teatro luminoso, luci che s’accenderanno e potranno accecare o anche abbagliare, e che diventa il palcoscenico per quel giovanotto - ventuno anni appena compiuti, che bello! - capace di sopravvivere all’arrivo dei Kalinic e degli André Silva, di resistere persino al fascino seducente del Pipita, di aggrapparsi a se stesso, all’indole e al carattere, però anche ai piedi ed alla testa, e di segnare ventisette reti in quest'ultimo anno e mezzo incurante di qualsiasi perplessità, scatenandosi dalla panchina ma anche prendendosi subito la partita, dall’inizio.

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