Mancini esclusivo: «Inter, peccato. Yaya Touré e Ibra gli unici anti-Juventus»

Il tecnico rompe il silenzio dopo il suo addio alla panchina nerazzurra e parla del suo futuro
Mancini esclusivo: «Inter, peccato. Yaya Touré e Ibra gli unici anti-Juventus»© ANSA
Alberto Dalla Palma
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ROMA - Dodici anni dopo, Roma è diventata di nuovo la sua città. Era scappato di corsa, nel giugno del 2004, quando lo chiamò Moratti per consegnargli un progetto ambizioso: ricostruire l’Inter e vincere. Da giocatore quel matrimonio in nerazzurro non si era mai consumato nonostante molteplici tentativi. «Questione di attimi, ma il feeling c’era eccome. Cragnotti fu più svelto, mi travolse, scelsi Roma d’istinto e ho vinto lo scudetto con la Lazio. A Milano ci sono andato dopo e sulla panchina ho centrato lo stesso obiettivo, aprendo il ciclo che poi Mourinho ha concluso con il Triplete. Penso sia andata bene così. A Cragnotti e a Moratti, intendo, oltre che a me, sia chiaro». Ma poi all’Inter è tornato per una seconda ricostruzione: il cuore aveva prevalso sulla ragione. «Non voglio avere rimpianti o dire oggi che ho fatto male ad accettare. Era una sfida importante, sono convinto di non aver sbagliato a tornare a Milano. Purtroppo non ho concluso la missione ma resta un’esperienza positiva. Sono stati fatti passi avanti molto importanti, oggi esiste una squadra base che prima non c’era. Ecco, mi dispiace di non aver terminato il lavoro come la prima volta»

Un divorzio sorprendente: la domenica mattina arriva la proposta di rinnovo per tre anni dalla Cina, la sera firma la risoluzione ed esce di scena

«Ci siamo stretti la mano, da buoni amici. I rapporti restano buoni e non ho motivo di avere rancori contro il club nerazzurro, come penso loro non possano averne nei miei confronti. La risoluzione è stata consensuale, non siamo riusciti ad imboccare la stessa strada per raggiungere gli obiettivi che l’Inter deve sempre avere davanti: lo scudetto e la Champions. Resterò, ovviamente, un tifoso nerazzurro».

Spifferi fastidiosi: lei non avrebbe gestito bene la preparazione perché sapeva che se ne sarebbe andato

«Sciocchezze, l’unica accusa su cui voglio rispondere. L’ultimo che mi ha tirato in ballo è stato Gullit. Era invidioso da giocatore, lo è anche adesso da disoccupato. Cosa sa lui per parlare del lavoro di un collega? All’Inter hanno i dati del lavoro fatto durante la preparazione: siamo nell’epoca moderna, ci sono i Gps, i computer, io ho uno staff di professionisti seri, nessuno può permettersi di denigrare il nostro piano. Ci sono i dati, i numeri, è tutto registrato. Non esiste, per chiarezza, una squadra pronta il 20 agosto. Ci vogliono sei o sette giornate, diciamo il mese di settembre, per essere al top. E questo vale per tutti. Fine del discorso e di una polemica strumentale»

C’è qualcosa che vorrebbe cambiare della seconda esperienza milanese?

«Forse il mese di gennaio, quello in cui l’Inter ha avuto un black out totale. Purtroppo quando riapri un ciclo può capitare. Se qualche sconfitta fosse diventata un pareggio, probabilmente saremmo andati noi a fare il preliminare e non la Roma. Anche nel 2004 eravamo partiti a piccoli passi e poi siamo saliti al vertice per restarci». 

Se le avessero preso Yaya Touré forse non se ne sarebbe andato

«Non ci casco. Yaya, da sempre, era uno dei miei obiettivi. Avevamo quasi chiuso il suo acquisto con il presidente Thohir un anno fa, poi lui preferì non tradire il Manchester City dove lo avevo portato io. Touré, come Ibrahimovic, è uno di quei giocatori che fanno la differenza, possono spostare da soli l’esito di un campionato. Come Messi e Cristiano Ronaldo».

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