Mogol: «Che emozione "I giardini di marzo" all'Olimpico»

Mogol racconta così le sue sensazioni dopo che i laziali hanno intonato il popolare brano alla fine della sfida contro l'Empoli: «Lucio non parlava mai di calcio, ma ti sorprendeva. Una volta al mare si fece scoprire surfista. Capisco l’euforia dei tifosi. La Lazio gioca alla grande e merita di entrare in Champions League»
Fabrizio Patania
3 min
ROMA -«Che anno è, che giorno è, questo è il tempo di vivere con te». Alle 16,52 di domenica era appena finita la partita della Lazio, si era materializzato il sorpasso sulla Roma, e in cinquantamila si sono messi a cantare «I giardini di marzo», una delle più belle canzoni di Battisti e Mogol, diffusa dagli altoparlanti dell’Olimpico. Chiamale se vuoi emozioni, sarebbe il caso di aggiungere. Lucio viveva la propria lazialità, svelata dal papà Alfiero nel 2003, con estrema discrezione. Non l’ha mai esternata e intimamente viveva la passione per il calcio. Così lo racconta Mogol, colpito dalla manifestazione spontanea dell’Olimpico. «È bellissimo. Il fatto è emozionante. Diciamo la verità. Capisco l’entusiasmo dei laziali. Sta giocando alla grandissima. Quando una squadra italiana i esprime così bene, io sono contento. L’anno prossimo saranno in Champions. I giardini di marzo? Non sapevo che l’avessero cantata i tifosi. Mi fa piacere. È stata una cosa bella».

SURF - Complicato farsi raccontare da Mogol la lazialità di Battisti: «Mai sentito Lucio parlare di calcio e di politica. Era interessato alla musica. Per farvi capire il personaggio, capitò solo una volta. Era ottobre, mi portò al mare in una spiaggia vicino a Roma. E mi disse. “Guarda, ho imparato ad andare sul surf”. Non lo avevo mai saputo. Si mise la tuta e partì. Lo vedevo da lontano. Era piccolo come una mosca, con il mare grosso, almeno forza quattro o cinque. Lucio era un tecnico. Un analista in grado di sviscerare i meccanismi. Io sono sempre stato orizzontale, lui era un verticale. Un matematico. Analizzava tutto. La sua cultura sul pop era straordinaria». Voleva approfondire e forse nel calcio non si sentiva così preparato da poterne parlare.

ALL'ARENA - Mogol è l’autore dei testi di Battisti: «Come è nato i giardini di marzo? Lui come sempre ha scritto la musica prima che io aggiungessi le parole. Funzionava così in tutte le canzoni che facevamo. Io poi quella musica l’ho legata alla mia vita. Era un testo autobiografico». Battisti e il pallone: «Posso ricordare solo un episodio. Organizzai un evento all’Arena di Milano ed è stata la partita che ha fatto nascere la nazionale cantanti. Arrivarono in 27 mila, l’Arena era piena. Portai anche Lucio Battisti. Lo feci cambiare. Pantaloncini, maglietta, scarpini. Non aveva mai giocato in vita sua. “Non ho mai giocato” mi disse. ”Che ti importa”, gli risposi. E gli chiesi di mettersi in attacco. Ecco quello che accadde. Arrivò in area di rigore un cross più alto di sette metri rispetto alla traversa. Lucio si alzò sulla punta dei piedi per mimare lo stacco e il il colpo di testa. Tutto si misero a ridere. Posso raccontare questo. Di calcio non ha mai parlato, come di politica. Trattava solo argomenti a lui familiari. Partecipò solo per compiacermi. Come una volta in cui mi ha seguito sino a Roma da Milano andando a cavallo. Mi disse che non ci sapeva andare. Lo convinsi. Impiegammo 22-23 giorni. Il ritorno lo feci con mia moglie».

Leggi l'articolo completo sull'edizione odierna del Corriere dello Sport-Stadio


© RIPRODUZIONE RISERVATA