Speciale Lazio, Pulici: la parata del 10 in pagella e dello scudetto

La vicenda Bielsa ha stabilito il punto più basso del rapporto tra tifoseria e dirigenza. Eppure parliamo di una società che nella sua storia ha vissuto momenti emozionanti. Ecco un viaggio appassionante che serve a tutti, anche al presidente Lotito, per ricordarsi sempre cosa vuol dire “la lazialità”. Il portiere salvò su Chiarugi in Milan-Lazio 0-0. Era il 21 aprile ‘74, il volo meritò un voto record
Speciale Lazio, Pulici: la parata del 10 in pagella e dello scudetto
Daniele Rindone
7 min

ROMA - The best, il migliore. La parata del “dieci” in pagella è stata la parata del primo scudetto, l’ha compiuta con una manona delle sue: «In realtà fu un dieci più, il massimo voto avuto in tutta la mia vita». Felice Pulici sapeva come volare e volò il 21 aprile 1974 nel tempio di S.Siro, in una giornata storta per forma e gioco di squadra. Meritò 10 come voto, con il “più”, la lode. La scena è da rallentatore: Milan-Lazio, mancano 3 minuti alla fine, risultato 0-0, sulle panchine Trapattoni e Maestrelli. Oddi perde Chiarugi, il milanista tira in mezza rovesciata, la palla picchia per terra, s’impenna, s’indirizza verso l’incrocio, è convinto di averla buttata dentro. S.Siro urla gol, ma c’è Pulici in porta, un superman senza mantello, cambia direzione al pallone e al destino, li ha saputi domare: «L’ho pizzicata appena appena quella palla, ci sono riuscito». Era sulla linea, Felice. Andò su in un lampo, tanto potè da pizzicare quel pallone, non si poteva impigliare nella sua rete. Lo mandò in angolo, fece vedere la luna ai laziali. Fu la parata-partita, fu un attimo infinito di grazia quello lì. Il suo balzo, umanamente difficile, tolse un gol fatto, mantenne lo 0-0 e la Lazio in vetta alla classifica con 38 punti, la Juve inseguiva a 35. Immaginiamola la scena della parata: la coordinazione, le gambe piegate, la spinta, la partenza con forza esplosiva, tutto al millesimo di secondo. Oltre quarant’anni dopo Felice Pulici si limita a dire che «parare era mio dovere» perché «quando sei in porta devi difendere la tua casa».

Forza: in generale la qualità o la condizione d’esser forte e, insieme anche la causa che dà la possibilità d’esser forte. Forza fisica, di un individuo, quella che risulta dalla forza dei vari muscoli e, insieme, dalla resistenza al lavoro e alla fatica Dal vocabolario Treccani

Quello scatto, quel volo, è uno dei più grandi di sempre, dentro c’era veramente tutto. Il cuore, l’istinto, la tenacia, le sue mani d’oro. Ci sono quelli che sanno intuire cosa sta per accadere, a Pulici capitava spesso tra i pali. Ha sempre fiutato il vento giusto. La sua forza è sempre stata la difesa della Lazio, della sua casa, senza che nessuno gli coprisse le spalle. Quel giorno a S.Siro rimase in piedi, respinse ogni assalto, fu coraggioso, rimase concentrato sino alla fine, difese il sogno di un popolo. Portiere grande grande, ha saputo allungarsi sui palloni impossibili e ha saputo dimostrare che la porta può sempre restringersi. Uomo tutto d’un pezzo, non ha mai smesso di difendere, di onorare la sua missione laziale da numero uno, da dirigente, da tifoso. Felice Pulici non s’è mai potuto concedere un lusso, neppure quello della paura. Non la provò quel giorno a S.Siro: «Portammo a casa un punto, ci servì per tenere la Juve a distanza, per battere poi il Foggia e diventare campioni d’Italia. È l’istinto che ti porta a compiere un intervento fuori dal comune». La parata del dieci in pagella, con il più davanti, è una foto bellissima, è un’immagine da monumento.

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Pulici, con le sue gesta, ha insegnato che essere forti non significa essere gradassi, superbi, onnipotenti. La forza nasce dall’umiltà, non dalla sicumera. Ti spinge a superarti, a rispettare gli altri, mai a sopraffarli, è la lezione di lazialità più bella. L’ostinazione di Felice è sempre stata a fin di bene e il suo sorriso è stato sempre coinvolgente: «Giancarlo Oddi è stato il mio portafortuna, io lui e Wilson giocammo tutte le partite nell’anno dello scudetto. Ricordo due episodi, uno è quello di Milano, quello di Chiarugi. L’altro è quello che si riferisce al 4-2 casalingo contro il Verona, partita dello stesso campionato. Eravamo sotto 1-2, non rientrammo nello spogliatoio durante l’intervallo. Io ero capitano, Oddi s’inventa un sistema nuovo di gestire il rapporto difensore-portiere. Dice “tua” intendendo la palla e di piatto destro la mette nell’angolo, alle mie spalle. E’ stato il gol più bello che ho subito (risata, ndr)». Felice Pulici si è sudato tutto ciò che ha ottenuto, ha imparato a volare partendo dal basso. Nel giorno della prima comunione il papà, operaio, gli consegnò un pacco regalo: dentro c’era un pallone. Felice ci dormì assieme e il giorno dopo chiamò gli amichetti per giocarci. Non s’arrese quando scoppiò sotto le ruote di un bus, lo riempii di paglia e stracci, ci giocava calciandolo contro il muro e riprendendolo al volo. Così diventò portiere, tuffandosi nel corridoio di casa e usando i materassi come trampolini.

D’estate i ricchi andavano in villeggiatura, lui trascorreva la giornata all’oratorio. Felice Pulici è stato la Lazio in tutto e ha sempre avuto la stessa fedeltà, lo stesso orgoglio sportivo. Direttore generale dal 1984 al 1986 con Chinaglia presidente, responsabile del settore giovanile per un anno (stagione 1986-87) sotto la gestione Calleri e dal 1994 al 1998, quando venne richiamato da Cragnotti. Con quest’ultimo ha ricoperto il ruolo di rappresentante nei rapporti con le istituzioni sportive. Nel Duemila, a Coverciano, ha conseguito il titolo di direttore sportivo. Felice Pulici è esperto di diritto sportivo, ha fatto parte del pool dei legali che difesero Lotito nel processo per Calciopoli (anno 2006), poi lasciò. Felice Pulici è la storia. Quanto più è servito tanto più è stato accanto alla Lazio amandola, proteggendola pur allontanandosi dalla porta. Un appiglio sicuro, mani che l’hanno portata in alto.

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