Speciale Lazio, Bob per tutti: Lovati laziale è per sempre

La vicenda Bielsa ha stabilito il punto più basso del rapporto tra tifoseria e dirigenza. Eppure parliamo di una società che nella sua storia ha vissuto momenti emozionanti. Ecco un appassionante viaggio che serve a tutti, anche al presidente Lotito, per ricordarsi sempre cosa vuol dire "la lazialità". Giocatore, allenatore, dirigente: una fedeltà totale. Oggi avrebbe compiuto 89 anni: ci guarda da lassù
Speciale Lazio, Bob per tutti: Lovati laziale è per sempre
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ROMA - Auguri di cuore, Bob, amico per sempre. Se fossi stato ancora fra noi, oggi 20 luglio, avremmo festeggiato alla grande i tuoi 89 anni. Fa niente, tanto mi senti anche da lassù. E fa niente che questa società senza cuore non si ricordi mai di te, se non per intitolarti una Academy fantasma. In altre città, in altri club, con altre dirigenze, un uomo come Roberto Lovati sarebbe stato al centro di ogni manifestazione, di ogni vittoria, di ogni iniziativa. Non ricordo, nel mondo del calcio, un altro personaggio che come Bob abbia giurato e mantenuto fedeltà alla propria bandiera. Mise piede nella Lazio nel 1955, anzi nel ’54 perché appena acquistato dal Monza fu girato in prestito al Torino. Da allora, e per oltre mezzo secolo, con i colori biancoazzurri ha ricoperto ogni ruolo: giocatore, allenatore delle giovanili e della prima squadra, vice allenatore, osservatore, direttore sportivo. Sempre pronto a tappare i buchi e ad accollarsi responsabilità anche altrui. Mai un cedimento. Sempre disponibile nelle emergenze.

Appartenenza: a. L’appartenere, il fatto di appartenere; b. Ciò che appartiene, spettanza, proprietà: ciò che ha relazione con, o che è proprio di qualche cosa; pertinenza dal vocabolario Treccani

L’UOMO E IL TECNICO - Voglio ricordare due momenti che meglio di tanti altri illustrano l’uomo e il tecnico. 30 marzo 1980. La Lazio in posizione di classifica precaria ospita il Catanzaro all’Olimpico dopo la settimana più nera della sua storia. A Pescara, sette giorni prima, la Lazio guidata da Bob aveva perso non solo la partita ma anche la faccia. Già un paio di ore prima dell’inizio, alcune voci parlavano di coinvolgimenti di alcuni giocatori romani nell’inchiesta del calcioscommesse e di possibili clamorosi sviluppi a breve. Il pescarese Lombardo, entrato in campo a ripresa iniziata, avvertì capitan D’Amico che Manfredonia era stato arrestato e che altri mandati di cattura sarebbero stati eseguiti non appena la squadra fosse rientrata negli spogliatoi. E così fu: Cacciatori, Giordano e Wilson vennero caricati, ancora in divisa da gioco, sulle auto della polizia e trasferiti nel carcere romano di Regina Coeli. A Viola e Garlaschelli venne consegnata una comunicazione giudiziaria. Ce ne volle per formare una squadra decente e ricaricare i giocatori in vista della decisiva partita con il Catanzaro. Lovati ricorse alla sua dote migliore, quella di allenatore delle anime oltre che dei muscoli. Prese i ragazzi uno per uno ricordando loro i valori dell’etica e della lazialità. Tirò fuori dalle giovanili quegli elementi che gli sembravano più maturi. In porta fece debuttare Budoni e con lui mise in campo Tassotti, Perrone, Manzoni, Cenci, Ferretti: tutti ventenni. Bob seguiva la partita dalla tribuna, perché a Pescara gli erano saltati i nervi ed era sotto squalifica. In panchina c’era Giancarlo Morrone a ricevere e passare gli ordini. Il pubblico laziale, partecipe del momento, era corso numeroso sulle tribune, affollate da 40.000 spettatori. I ragazzini pagarono l’emozione con un primo tempo sciatto, fortunosamente terminato sullo 0-0. Nell’intervallo, il secondo miracolo di Lovati: due paroline bene assestate, una nuova iniezione di adrenalina e di fiducia. Vincenzino D’Amico prese per mano i giovani e la squadra: segnò al 72’ un fantastico gol, originò dieci minuti dopo l’azione dell’autogol di Groppi che mise definitivamente in ginocchio il Catanzaro. Le lacrime e le parole di Lenzini turbarono Lovati: “Ti dico grazie a nome di tutti i laziali – disse il presidente - Una settimana fa ho pianto di dolore, oggi piango di gioia”. L’abbraccio di tutti i giocatori fu il premio più ambito per il loro maestro, i tifosi tirarono un sospiro di sollievo giurando amore eterno a quel pennellone brianzolo innamorato della Lazio come fosse nato a Tor di Quinto.

L'ULTIMO REGALO DI MAESTRELLI, L'UOMO BANDIERA

CON IL MAESTRO - Il secondo momento da sottolineare della lunga militanza laziale di Bob, furono gli anni di Maestrelli. A cominciare da venerdì 25 giugno 1971. Fu Lovati a guidare la squadra alla vittoria della Coppa delle Alpi – primo trofeo internazionale della sua storia – con Maestrelli appena arrivato, ad osservare compiaciuto. Io partecipai a quella trasferta, inviato per il “Corriere dello sport”, rimasta indelebile nella mia memoria. La finale fu preceduta da una nottata al tavolo da poker attorno al quale sedevano il dottor Ziaco, l’ingegner Paruccini, il collega Mimmo De Grandis, il sottoscritto e Giorgio Chinaglia. Alle 5 del mattino eravamo ancora a combattere con le carte, quando Lovati entrò e con sorpresa intravvide il volto di Giorgio nella nuvola di fumo. “Forse è ora di andare a letto”, gli disse. Chinaglione rispose: “Mister, faccio l’ultimo giro poi ci vado”. Bob si ritirò: conosceva i suoi uomini, sapeva calibrare i toni. Ebbe ragione: in campo Chinaglia fu devastante, si caricò la squadra sulle spalle e segnò due dei tre gol con i quali la Lazio frantumò il Basilea. Questo era Lovati: lazialità allo stato puro. Celebrai il suo ultimo anniversario, proprio su queste pagine, il 20 luglio del 2007. Compiva 80 anni. Andai a trovarlo in piscina: asciutto, con quelle gambe da fenicottero, il costumino rosso a triangolo sui fianchi stretti, l’occhio sempre vispo. “Guarda quella là, Frank, ha il culo più bello della Balduina“. Non sapeva rinunciare alle goliardate, ma amava alla follia la sua nuova compagna. Lo vidi rattristarsi un solo momento, quando il discorso cadde sulla Lazio di Lotito.

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Franco Recanatesi


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