Lazio, intervista a Inzaghi: «Possiamo sognare»

L'allenatore biancoceleste ospite nella nostra redazione: «Tutti fissati con Bielsa e Sampaoli Meritavo fiducia e questa è casa mia»
Lazio, intervista a Inzaghi: «Possiamo sognare»
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ROMA - Una volta era il gol l’ossessione, lo inseguiva e li contava come suo fratello Pippo, gli riuscivano meglio in Champions, è stato il bomber dello scudetto di Eriksson e tuttora mantiene il record di marcature in Europa con la Lazio. Oggi Simone Inzaghi è ossessionato perché segnino Immobile e Keita. Gli interessa vincere. In panchina è un pragmatico, deve portare a casa i risultati e allora può chiedere a Felipe un sacrificio se con il Napoli conviene giocare con la difesa a tre. Il sogno di Simone è aggrappato alla realtà. Questo racconta il suo percorso. Un predestinato. Un vincente. Ha iniziato ad allenare gli Allievi Regionali chiudendo in anticipo la carriera di centravanti e da allora la squadra non ha più vinto la Coppa Lazio. Ha sfiorato il triplete in Primavera, piegato solo ai rigori dal Torino nella finale scudetto dopo aver vinto Supercoppa e Coppa Italia. E’ riuscito, preso il posto di Pioli proprio dopo l’ultimo derby, a sbriciolare in due mesi il casting pazzesco di Lotito per prendersi la panchina della Lazio. Altro che Sampaoli e Bielsa, ora il popolo biancoceleste sogna con Inzaghino, destinato sino ai primi giorni di luglio alla Salernitana. Ieri ci ha raggiunto in piazza Indipendenza e in un’ora ci ha raccontato tanto, quasi tutto. Le lezioni del suo maestro Materazzi, il primo a trasmettergli l’idea che si può lanciare un giovane, l’esempio e l’intensità di Simeone, suo amico e trascinatore della Lazio Duemila. E poi Lotito, il campionato e tanto altro, compreso il sogno di battere la Roma. Perché Inzaghi, come titolavamo quasi diciassette anni fa dopo i suoi quattro gol al Marsiglia, richiama il concetto di favola. E’ molto vicino al sogno. E non si chiama Bielsa.


La prima domanda, dopo il benvenuto nella sede del Corriere dello Sport-Stadio, è questa: adesso che le cose vanno bene ci racconta come ha saputo che sarebbe diventato l’allenatore della Lazio e dov’era in quel momento? Per lei è stata una sorpresa o la possibilità era già nell’aria?
«Ero al mare con la mia famiglia, mi trovavo a Formentera. La sera in cui si giocava Italia-Germania mi telefonò Lotito, mi disse che con Bielsa c’erano problemi. E che se ce ne fossero stati altri mi avrebbe voluto come allenatore della Lazio. Lo ero stato nelle ultime sette partite, la Lazio è casa mia, sono qui da 17 anni, ho due figli nati a Roma, sono laziali, gli dissi di sì. Fosse successo da altre parti ci avrei pensato, alla Lazio no. Quando Lotito mi ha richiamato, ho subito accettato. C’era una fila di allenatori molto lunga, tecnici che lavorano da tanti anni, sarebbero venuti a piedi alla Lazio. Forse si stava compiendo un disegno. Era giusto rimanessi io e così si è verificato».

VIDEO: «INTERVISTA A INZAGHI»



Montella allenatore della Fiorentina a 38 anni, Mancini dell’Inter a 40, Mihajlovic giù di lì. Lei ha iniziato a guidare la Lazio a 40 anni e sembra quasi sia arrivato in panchina presto. Nell’immaginario, per tutti, è ancora Inzaghino, questo diminuitivo dà l’idea di un profilo sbagliato?
«Non è un problema dire Inzaghino. Mio fratello Pippo è stato, credo, il più grande attaccante italiano di tutti i tempi, ha infilato record su record, l’unico a segnare una doppietta nelle finali di Champions e di Intercontinentale nello stesso anno, penso non sia mai successo. L’unica cosa che mi dava fastidio era sentir parlare dalla stampa di sogno Sampaoli e di sogno Bielsa. Non lo meritavo. Sono qui da 17 anni, a volte la gente si lamentava di non avere laziali dentro Formello, ho fatto sette partite non facilissime dopo un derby perso e la contestazione dei tifosi a Norcia. La squadra mi aveva seguito, avevamo perso solo con la Juve e poi a Marassi in modo incredibile. L’ultima sconfitta, a giochi fatti e quando le posizioni in Europa erano già assegnate, con la Fiorentina. Pensavo di meritare più considerazione. Faccio fatica io a conoscere le idee di Sampaoli e Bielsa, non capivo come potessero far tanto presa. Nonostante questo ho accettato di buon grado. La Lazio è casa mia. All’inizio c’è stata qualche critica, ma sono contento e rifarei altre mille volte questa scelta».

Però la stampa, quindi anche noi, ha seguito il filone della società. Sampaoli e Bielsa sono stati contattati dal club, era cronaca.
«E’ normale, mi stimate e mi conoscete da quindici anni. Parlo di una cosa mia, pensavo che il titolo potesse essere «Che bello se rimane Inzaghi». Magari con Bielsa e Sampaoli sarebbe andata ancora meglio. Ma per quello che ho fatto in quelle sette partite pensavo di avere più credito».

Quante squadre, oggettivamente, sono sicuramente più forti della sua Lazio?
«In una partita secca, con la mentalità di adesso, ce la giochiamo con tutte. Con la Juve abbiamo perso due volte, ma quest’anno poteva andare diversamente. Prima del gol di Khedira, ricordo un’azione bella, il cross di Immobile, Parolo e Felipe in leggero ritardo. Non sai mai se la sblocchi come va a finire. Devo dire che a Napoli abbiamo giocato una grande partita e accettato qualche rischio con l’uno contro uno in difesa. Basta prima non aveva mai fatto il centrale dei tre, avevo bisogno di uno rapido, mettere Hoedt in quel ruolo sarebbe stato un errore. E’ stata una prova di grande sacrificio. Il Napoli mi ha impressionato, ti dà il senso di una squadra organizzatissima, sanno tutti quello che devono fare. Ora dovremo incontrare la Roma, abbiamo già incontrato e perso con il Milan. Montella sta facendo molto bene, ma penso che i rossoneri siano alla nostra portata».

Anche senza averla incontrata, la Roma secondo lei è più forte della Lazio?
«La Roma l’ho vista con il Bologna. Hanno giocato una grande partita, hanno tanta qualità, sono da quasi un anno e mezzo con Spalletti. Dirò come sono dopo averli incontrati. Un conto è vederli in tv, un altro in campo».

Essendo stato un grande attaccante, nella gestione di un talento come Keita quanto è servita la sua esperienza?
«Tantissimo, ha contato il passato da giocatore. Keita ha vissuto un’estate difficile, si sono moltiplicate le voci e le proposte, gli offrivano tre o quattro volte l’ingaggio che percepisce adesso, sono stati due mesi turbolenti. Ho provato ad accompagnarlo. Keita lo ritengo un giocatore imprescindibile, è un ragazzo di vent’anni, nemmeno nella mia grande Lazio ho visto uno con le sue doti. Gli ho parlato tanto, un giorno sembrava tranquillo, il giorno dopo era di nuovo in confusione. Ho preferito non utilizzarlo a Bergamo e con la Juve. Trovo sbagliato scendere in campo con il mercato aperto, lavori e poi ci sono giocatori che vanno in un’altra squadra. Il mercato sarebbe opportuno chiuderlo a luglio quando si va in ritiro. Keita nella settimana in cui dovevamo affrontare l’Atalanta non era a posto. Ho deciso di tenerlo fuori, è stata una scelta coraggiosa a Bergamo, non avendo neppure Felipe. Dovevo scegliere tra Oikonomidis e Lombardi che non avevano mai giocato in serie A. Keita non avrebbe fatto meglio in quel momento. Ora si sta allenando benissimo, s’è messo al servizio della squadra».

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