Sarri, quando la tuta batte giacca e cravatta

L’allenatore del Napoli è stato spesso criticato per il suo look ma con gioco e risultati si sta prendendo la rivincita
Furio Zara
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NAPOLI - Più tute per tutti. Sarri, dunque. Ovvero: l’elogio della tuta. Perché stupirsi? Io sono (anche) il lavoro che faccio. Essere, apparire: o di qua o di là, non si va ai supplementari. Del re sto: Astro-Samantha Cristoforetti l’altra sera è andata da Fazio con la tuta, non con una gon na plissettata e un giacchino da biker. Sarri in panchina deve spiegare la diagonale a Koulibaly, mica mettersi in tiro per l’apericena. Il problema, in questi tempi televisivi, è che ti fanno la tara anche per come vesti. La tuta è semplicità e comodità; che poi la comodità deragli e scatti l’equazione tuta uguale lavativo è un discorso antiquato: come quando da piccoli la domenica ci si festiva per la festa. Oggi siamo abituati ad allenatori che sembrano manichini da parata, tutti uguali, pronti per la cresima della figlia, scarpe lucide a punta, completo giacca, gilet (tira molto ultimamente) e cravatta sottile. Cantare (e vestire) fuori dal coro è un lusso che non tutti possono permettersi. Nereo Rocco vestiva sì in giacca, cravatta, borsalino sulle ventitre ma - eccolo il colpo di genio - d’inverno calzava scarpe da calcio, con i tacchetti, perché è questo che si fa con i campi fangosi. (Talvolta, con gesto antico e commovente, stringeva pure con una molletta l’orlo dei pantaloni).


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