Napoli, De Laurentiis: «Il mio Carletto resta sei anni»

Il presidente azzurro: «Ancelotti mi ha telefonato da Ischia, felice ed entusiasta. Prima del Liverpool l’avevo sentito alle 7. Mi ha detto: vinciamo»
Napoli, De Laurentiis: «Il mio Carletto resta sei anni»© FOTO MOSCA
Antonio Giordano
3 min

NAPOLI - Davanti a quello spettacolo della natura, su una terrazza con vista sul mare che bagna Napoli, è inevitabile perdersi tra lo spazio e il tempo: ed è lecito ondeggiare, restando rapiti dall’incanto dell’orizzonte nel quale s’intrufola ogni frammento di una vita da Aurelio De Laurentiis, il cinema, il calcio, i figli, la famiglia e le meraviglie d’una città sempre uguale a se stessa (nonostante tutto). De Laurentiis e il passato, De Laurentiis e il presente, De Laurentiis e il futuro, De Laurentiis e ciò che vorrà il destino (da programmare, dunque da indirizzare però, perché il Progetto ha un senso), De Laurentiis e Ancelotti, ma anche tutti i capitoli di questi tre lustri che riemergono come un’onda anomala travolgente, tra una riunione per il San Paolo e un cellulare impazzito dal quale s'erge, improvvisa, l’ipotesi che un giorno, e magari neanche così lontano, pure questo stadio possa avere due megaschermi: una proiezione verso l’infinito del Napoli, della Napoli di De Laurentiis, accarezzata con tenerezza, quasi cullandosela, per ciò ch'è stato sinora quel rimbalzo lieve d'un pallone che lascia un'eco dolce e accattivante.

Per cominciare: ma quando nasce in De Laurentiis la “pazza”idea Ancelotti?
«Erano anni che avevamo contatti telefonici, ogni tanto Carlo si informava di nostri calciatori e io con lui dei suoi. Mi aveva colpito il suo equilibrio ma anche la sua educazione, perché quando intuiva che non ci sarebbero stati margini per trattative non insisteva». [...]

Ma con Ancelotti la scintilla quando c’è stata?
«A me è sembrato che quest’appuntamento fosse scritto nell’universo calcistico, come se l’avesse deciso il destino: ci sono voluti cinque minuti, dico cinque, per arrivare all’accordo. La negoziazione più rapida dei miei circa quindici anni di calcio. Poi è venuto un avvocato, bravissimo, e sono stati sufficienti altri cinque minuti a me e a Chiavelli, l’amministratore delegato, per definire ogni dettaglio».

E ora?
«L’altro giorno Carlo era a Ischia, mi ha telefonato entusiasta: Aurelio, io qui ci potrei restare anche sei anni».

Siamo già nel futuro...
«Con lui si vive un rapporto umano, discutendo amabilmente dei reciproci interessi. E se parlo dicalcio, non si offende: prima del Liverpool, al mattino, gli ho telefonato... ».

Alle sette, anche a lui...?
«Diciamo. E così, ho espresso pareri. E lui con garbo, autorevolezza e autorità, mi ha detto: presidè, stai tranquillo, la vinciamo. L’ho preso in parola e all’87esimo ho detto: ma vuoi vedere che succede? E’ successo. Non può capire la mia reazione».

Argomenti base delle chiacchierate con Ancelotti.
«Spaziamo. E comunque, per dire, mi tocca anche subire delle correzioni sul mondo cinematografico, del quale è esperto: ma lui ne approfitta perché è più giovane di me ed ha una memoria più fresca».

Leggi l'intera intervista sull'edizione odierna del Corriere dello Sport 


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