Ferlaino: «Così battevo i grandi»

Il 18 gennaio di 50 anni fa iniziava la sua storica avventura: «Ho scalato letteralmente il Napoli e l’ho costruito per Diego»
Ferlaino: «Così battevo i grandi»© LaPresse
Antonio Giordano
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Il 18 gennaio 1969 Corrado Ferlaino ha 38 anni... e ora racconti lei, per non farci confondere tra leggende metropolitane e verità: ad esempio, è vero che acquistò quel 33% del Napoli battendo i suoi concorrenti con uno scatto, loro scelsero l’ascensore e lei fece le scale di corsa e li anticipò?

«Questo è l’antefatto, risale al periodo immediatamente successivo al decesso di uno dei proprietari della società, ma andò proprio così. Il Napoli era frazionato: 33% tra Lauro, Fiore e Antonio Corcione, morto da poco e con la famiglia decisa a cedere la quota. Sua moglie invitò me e i miei soci, un gruppo di giovani imprenditori che intendeva acquistare quel terzo del club. C’era altra gente interessata, quella mattina, e all’ascensore preferii andare a piedi. La vedova Corcione mi aprì, le dissi che ero interessato e che volevo parlarle, mi fece accomodare in una stanza e quando arrivarono gli altri, si accomodarono in un salone-soggiorno, che io chiusi a chiave dall’esterno. Trattativa-lampo: offrii subito 70 milioni di lire e feci il gesto di redigere immediatamente l’assegno. La signora accettò e mi ritrovai proprietario d’una quota del Napoli».

La scalata avviene successivamente.

«Quando si scatenò lo scontro tra Lauro e Fiore, padroni dei due-terzi ovviamente. Venni nominato presidente dal Comandante, che in quel modo volle fare uno sgarbo al suo socio. Mi informò il centralinista dalla sede, che mi chiamò per farmi gli auguri».

Nel ‘69 lo scudetto va alla Fiorentina, nel ‘70 andrà al Cagliari.

«Ma il Napoli non aveva autorevolezza e il potere, tranne quelle eccezioni e poi poche altre ancora, era sempre radicato al Nord. C’era la Juventus degli Agnelli, la Milano ricca ed evoluta, poi ogni tanto qualche exploit, costato successivamente caro. Noi galleggiavamo, fieri del nostro bilancio, ma la svolta avvenne un giorno che andai in banca e mi accorsi che il Napoli era sostanzialmente ricco, però storicamente povero. Volevo vincere, non mi bastava più il benessere economico».

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