Verde: «Grazie a Roma e a mia madre»

La stellina di Garcia domani in campo con l’Under 19: «Ho rischiato di sbagliare vita, ma amo troppo il calcio»
Verde: «Grazie a Roma e a mia madre»© Bartoletti
Marco Evangelisti
3 min
ROMA - Come se fosse scattato il Verde. Parti e non hai voglia di fermarti più. E’ apparso a Palermo - emergendo dalla panchina che comunque aveva cominciato a scaldare abbastanza presto in questa stagione in cui la Roma si è trovata sempre a corto di tutto - a metà gennaio. Da allora: sette presenze in campionato, una in Coppa Italia, due in Europa League. A Rudi Garcia non trema più la mano quando deve indicare Daniele Verde. E il ragazzo non ha più bisogno di girarsi da un lato e dall’altro e poi guardarsi alle spalle, pensando che la chiamata sia per qualcun altro. Gli è successo una volta e non capiva perché Maicon non si alzasse. Adesso ha capito quasi tutto, con la maturità della sua generazione cresciuta a cavallo tra i cortili e le autostrade digitali.

Verde, in bocca al lupo per la partita.
«Grazie. Quale?».

Già, scusi. Tra prima squadra, Primavera, Nazionale starà rischiando la crisi d’identità. Quella di domani, con l’Austria. Per l’Europeo Under 19.
«Dobbiamo vincere, punto e basta. E vedere che cosa succede tra Croazia e Scozia. Io credo che siamo un’ottima squadra e abbiamo in mano tutte le carte che servono».

Si sentirà a casa. Lì con lei ci sono Pellegrini, Calabresi, Capradossi.
«Bel gruppo di romanisti, vero? Riusciamo persino a essere amici. Io, loro e tutti i nostri compagni. L’amicizia è importante».

Tra giovani, forse, viene più naturale.
«Io l’ho trovata anche in prima squadra. La Roma non sarebbe riuscita a cavarsi dagli impicci, altrimenti». Perché, c’è riuscita? «Ne sono convinto. A Cesena abbiamo rivisto la luce. Tutti ce l’abbiamo messa tutta. Anch’io, che non sono andato in campo. E ora mi sento di dirlo: non vinceremo lo scudetto, però arriveremo secondi».

Meglio non voltarsi, ma alle spalle avete la Lazio.
«A maggior ragione. Mi rendo conto che a Roma è diventata la prima angoscia. Ma questa città ormai è la mia città. Da quando ho compiuto 14 anni sognavo di vivere un periodo così. Diciamo pure: da quando ho toccato per la prima volta un pallone».

E che età aveva?
«Undici mesi, direi».

Un po’ presto per sentirsi romanista.
«Mi sono sentito davvero romanista fino nel profondo quest’anno. Ma già quando mi hanno chiamato, nel 2010, avevo capito che la Roma era la società migliore in cui crescere. Tra grandi attaccanti, in un ambiente in cui i giovani hanno spazio. E con un autentico idolo da seguire, un fuoriclasse con una personalità ricchissima. Solo chi non ha la fortuna di giocarci insieme può sostenere che Francesco Totti sia finito. Ha occhi dappertutto, ti trova in qualsiasi punto del campo».


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