Memories Roma, «Totti, mi dai un passaggio?»

Romondini, quei viaggi in auto col capitano «Bianchi mi lanciò, poi incontrai i marziani»
Memories Roma, «Totti, mi dai un passaggio?»
Marco Evangelisti
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ROMA - Stando ai libroni, la Serie A di Fabrizio Romondini è durata tre minuti. «Un po’ di più, in realtà. Sette od otto». Il 15 dicembre 1996 entra nel finale contro il Napoli, il 12 gennaio 1997 contro il Perugia. Non aveva vent’anni e all’epoca sembravano pochi. «Uno meno di Totti. Avevamo vinto lo scudetto allievi e andavamo tutti i giorni al campo insieme, perché lui aveva la patente e io no. Lo aspettavo sotto casa. Giocavamo insieme da sempre, nella scuola lì davanti. Non era solo questione di licenza di guidare. Lui era pronto, coordinato e furbo abbastanza da entrare in prima squadra e restarci. Noialtri della sua generazione ancora no».

Chi lo diventò in seguito, anche se non nella stessa misura, chi no. Romondini è rimasto nel mezzo. «Mi è mancata l’occasione e magari la bravura. Dopo quella stagione dei minuti finali mi mandarono all’Albacete, nella B spagnola. Per cinque anni avanti e indietro come uno yo-yo, in prestito dovunque, poi mi ritrovai libero dall’impegno con la Roma e continuai a girare per conto mio. Sempre uno o due anni al massimo in ogni piazza, cercando di migliorare. E’ andata un po’ bene e un po’ male, ma io sono soddisfatto».

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Felice, persino. Ha appena chiuso a Colleferro, si è diplomato allenatore, aspetta un settore giovanile o un tecnico da assistere. Collabora con qualche assicurazione, è socio di un salone di bellezza e con la famiglia ha aperto due negozi di abbigliamento per bambini. Sposato, un figlio di quattro anni, quasi zero rimpianti. «Gioco a calciotto nei circoli e vedo tutti i vecchi compagni. La mia Roma era quella di Carlos Bianchi. Avrebbe dovuto spaventare l’Italia e invece combinò poco. Eppure era una squadra forte, unita, con quattordici o quindici romani. Un cuore e un’anima. Bianchi non la capì».

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ROMA, TRE SPINE LI' DAVANTI


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