Spalletti, un papà offeso o un allenatore in cerca di alibi?

L'editoriale del direttore del Corriere dello Sport-Stadio
Spalletti, un papà offeso o un allenatore in cerca di alibi?© AS Roma via Getty Images
Alessandro Vocalelli
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ROMA - Luciano Spalletti è un bravo allenatore - anche se quest’anno i risultati sono stati, diciamo così, modesti - e soprattutto un formidabile comunicatore. Talmente abile da convincere se stesso - innanzitutto - che la Roma in fondo ha fatto bene e le responsabilità, eventualmente, sono dell’intera umanità e non sue. Può essere colpa dell’ambiente, delle radio, di una città in cui non cambia niente, di giocatori senza personalità, di perfidi cronisti. O di chi, magari, tira in ballo i figli. Riferendosi ad un pezzo, post derby, in cui - per amor di verità - gli veniva chiesto di sentire, sul bilancio complessivo della squadra e l’umore dei tifosi, le persone che più ama.

Una cattiveria - ha urlato - perché i suoi figli preferirebbero non essere neppure nominati. Insomma, un’innocente considerazione ha finito per turbare l’uomo, che fa tutto per amore, e non più il professionista. Una cattiveria, ha urlato sempre con maggiore forza, dimenticandosi di aggiungere che non avremmo mai saputo che i suoi figli sono - orgogliosamente - tifosi della Roma se non fosse stato proprio lui - il papà garante della privacy - a tirarli sempre più frequentemente in ballo. Dicendo pubblicamente che era stato lui, suo figlio, a chiedergli a febbraio di un anno fa, quando decideva di cacciare il capitano da Trigoria: «Babbo, ma perché litighi con Totti?». Dicendo che era stato per lui, per quel figlio così tifoso della Roma, che - dopo mille considerazioni e centomila dubbi - si era convinto ad accettare questo ruolo faticoso di allenatore della Roma. Dicendo ai cronisti di guardare - sì, sì, date un’occhiata qui - quella foto sullo smartphone con il figlio a petto nudo e un tatuaggio in primo piano: «Forza Roma». «Vedete, è lui, mio figlio».

Di un figlio si può dire pubblicamente tutto questo, ma è cattivo ed amorale se qualcuno poi chiede ad un papà garante della privacy di confrontarsi a casa con chi lo ama allo stesso modo della Roma. Mi perdonerà Spalletti, ma alla storiella del genitore offeso - viste le premesse ed altri indizi - non riesco proprio a credere. Il sospetto è che - molto più di quella del papà turbato - sia fortissima la voglia dell’allenatore di confondere le acque, cercare alibi, urlare alla congiura e giustificare un’altra volta ancora una stagione piena di insuccessi. Da far passare - anche per chi dovesse pensare a lui a Milano - come il mortificante risultato di un ambiente ostile, di una squadra senza personalità (Manolas, Strootman, De Rossi, Nainggolan, Salah,e tutti gli altri, senza personalità?) di una città in cui imperversano le radio, e in fondo di perfidi cronisti.

Insomma, sono stati loro a decretare l’eliminazione dalla Champions, dall’Europa League, dalla Coppa Italia, sono stati loro a far provare in due mesi le amarezze che Garcia non aveva conosciuto per due anni e mezzo, infilando cinque derby positivi. Ma d’altronde, più che ai risultati, in certi momenti - per fare un po’ di confusione - è preferibile attaccarsi a tutto. Arrivando anche a strumentalizzare la storia della Roma, dicendo - come è successo poco tempo fa - che per lui ci sarebbe stato ancora posto nella Roma soltanto se nel frattempo fosse stato confermato Totti. Non chieda nulla, in questo caso, ai figli, sull’enormità della provocazione, considerando che la decisione era stata presa già. Magari si rivolga ai dirigenti più passionali in società. Nella speranza che, almeno loro, non si offendano per essere stati nominati.


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