Eusebio, se questo è un uomo

La risposta che aveva evocato è arrivata dai “suoi”: Fazio, Kolarov, Olsen, Santon. Ora manca Dzeko
Eusebio, se questo è un uomo© LAPRESSE
Giancarlo Dotto
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Eravamo rimasti all’onesto Eusebio, nudo senza essere mai stato re, dentro la sua botte irta di chiodi, la testa pericolante dopo lo sfacelo di Bologna, che dichiarava il suo ultimo desiderio al plotone d’esecuzione che lo voleva morto: «Datemi ancora una chance, voglio cercare l’uomo», novello Diogene, l’unica risorsa di una vecchia torcia con le pile scariche e la tenacia antica di una terra antica, dei martelli di una volta, di fabbri che non esistono più. Sembrava solo un pio e un po’ paleopatetico desiderio ai tempi del calcio scienziato, dove diecimila cervelli fumanti studiano dentro stadi virtuali tattiche, numeri, posture, proiezioni, assetti, dinamiche.

A derby ancora caldo, il mucchio giallorosso ancora festante e quello biancoceleste affranto tra i fili d’erba, possiamo dire che Eusebio alias Lazzaro l’ha trovato l’uomo che cercava, distribuito in più uomini, nelle dosi che servivano, tra la giugulare ancora per poco inesplosa di De Rossi, la rabbia di Pellegrini, la tigna di Fazio, i morsi di Florenzi, il sinistro di Kolarov ma anche la sua testa regale, i polpacci di Manolas (non quelli di Pastore). Eusebio ha trovato la Roma, là dove la Roma già era, per quanto ferita e mutilata.

Se l’è portata in un eremo, mentale ancor prima che geografico e, tutti insieme, fantasmi inclusi, si sono aiutati a uscire dalla trappola del lutto che li stava affossando. «Ho visto la giusta abnegazione, ho visto facce e occhi differenti», ha detto Eusebio incapace da sempre di darsi un sorriso, perché nel suo mondo antico il sorriso è cosa maleducata, un segno di superbia ma anche un modo insulso di sfruculiare il destino che sta dalla tua parte. Da annegati ad abnegati il passo non è stato per niente breve, passando per lo spassosa ma utile vacanza con il Frosinone, nel giorno del derby che a Roma da sempre resuscita quelli che si temono morti e abbatte quelli che si credono vivi. Più che mai suo Lorenzo Pellegrini.

Quando Pastore lascia e lui entra con quella faccia finalmente gladiatoria e non spaurita, è tutto già scritto. Giuro. Ho i testimoni. Lorenzo farà il fenomeno per sé e per il suo Eusebio. Giganteggia. Il suo Fazio, di cui Eusebio sa infinitamente l’importanza, anche quando s’ingarbuglia nella dismisura delle sue vele. Il suo Kolarov. Di cui Eusebio sa che può chiudersi qua e là nella tenda del guerriero, ma per uscire più guerriero di prima. Suo anche Santon, il meno celebrato (eufemismo) del mercato Monchi, ma Eusebio se ha una dote, e ne ha più di una, è che le cose e le persone le guarda in faccia.

E questo vale anche per Olsen. È la vittoria di Eusebio e dei suoi uomini, anche se la strada resta complicata perché troppo offesa questa Roma dal mercato. Certo, non è la vittoria di Monchi. Che avrà certo il pudore necessario di non esultare. Ancora troppo marginali, se non assenti, i suoi “colpi” di mercato. Resta Edin Dzeko. L’unico uomo che non risponde all’appello. Riportarlo nel gruppo è, ora, subito, l’impresa che serve.


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