Anche noi non dimenticheremo Monchi

DIRETTORI SPORTIVI - Monchi (2017-2019)© ANSA
Giancarlo Dotto
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«Sarà impossibile dimenticare la Roma» è il lascito social di Monchi. Reciproco. Anche per la Roma sarà impossibile dimenticarsi di lui. «Ho dato tutto me stesso», ci fa sapere. Beh, visti i risultati, ci saremmo accontentati anche solo di una parte. Gli incidenti di parola dell’andaluso sono stati innumerevoli in questo suo passaggio a Roma, che qualcuno ha voluto paragonare per difetto a quello di unni, vandali e lanzichenecchi. Il «…Non è importante come si vende, ma come si compra» resterà in ogni caso il suo capolavoro nell’eventuale dizionario dell’umorismo involontario. Gag a parte, un addio liberatorio per entrambi, Monchi e la Roma, e lunga vita a Massara. Intelligente, competente e innamorato di quella magnifica baraonda che è la storia giallorossa. Il sacco sivigliano ha impoverito la squadra sul piano della personalità, prima ancora che tecnico. Sono andati via leader totali e sono arrivati discreti giocatori, nella migliore delle ipotesi, dalla vaga o fragile personalità, a cominciare dall’allenatore. In quanto a Di Francesco.

E’ il momento dei coccodrilli a distesa. Basta lacrimare e basta chiamarlo “capro espiatorio”. Come avviene in tutti i postriboli calcistici del pianeta, Eusebio paga la crisi di risultati, ma soprattutto il non aver saputo dare in due anni un’identità decente a questa squadra. La più gettonata bufala dei luogocomunisti: “Ha portato la Roma alla semifinale di Champions”. Domanda onesta: chi l’ha portata veramente? Le imprese di Alisson, Dzeko, De Rossi, Manolas e compagni o le sue scelte tattiche? Capitolo chiuso, che dir si voglia. I due rotolano via dentro barili irti di bigliettoni e non di chiodi. C’è di che consolarsi. Arriva Ranieri. Ritorna. Pace all’anima nostra. “Normalizzare”, “traghettare”, “equilibrare” le parole d’ordinanza. “Buonsenso”, la parola sciamanica. Già, ma “traghettare” in che direzione? E che vuol dire “buonsenso”? Non sappiamo se la Roma ha bisogno dell’amore di Ranieri, di sicuro ha bisogno di ritrovare l’amore per se stessa. Diventare insensibile a tutto ciò che fischia e impreca di fuori e ipersensibile al suo di dentro, al suo destino. Complicato, soprattutto se non sarà rapida l’inversione di tendenza. Ma non impossibile.

Ranieri è una scelta che sa tanto di ripiego, accettabile solo a patto che ne contenga una totalmente innovativa nel suo marsupio, da qui ai prossimi tre mesi. Nomi? Per me sarebbe stata molto interessante la scelta di Paulo Sousa, ma credo di essere l’unico o quasi a pensarlo. E allora, insisto. Se Daniele De Rossi fosse costretto a fare un passo indietro rispetto alla sua voglia di essere calciatore, The Man è lui. Fuori discussione. Che lo voglia o no. È già di fatto l’allenatore della Roma. Lo è stato in partita e a fine partita anche a Oporto. Per una volta Pallotta ascolti se stesso e, se non sa ascoltarsi, provi a diventare per un attimo romanista nelle fibre più intime. Basta un attimo. Capirà che De Rossi è il nome. La sintesi perfetta. Il genius loci. L’anima della città ma anche un’immagine di grande appeal internazionale, quello a cui aspira voluttuosamente e strategicamente la Roma americana. Lo dice la sua storia. Lo dice la sua testa. Lo dice la sua parola.


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