Quagliarella: «Il calcio, il mio sogno da... lavorare»

A 13 anni ha lasciato la famiglia inseguendo un pallone. Tanto sudore, tanti club e tanti gol spettacolari. E ora la Sampdoria, dove continua a coltivare la sua passione
Quagliarella: «Il calcio, il mio sogno da... lavorare»© LaPresse
Walter Veltroni
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ROMA - Come ha cominciato Fabio Quagliarella a giocare a calcio da bambino, a Castellammare? «Vicino casa, in un’associazione parrocchiale. Si chiamava Annunziatella».

Quanti anni aveva? «Cinque anni. Lo ricordo perché il mio vicino di casa, che aveva questa squadretta, disse a mia madre il giorno del mio compleanno: "Me lo prendo, così lo porto un po' al campo con me". Da lì non ho mai smesso».

La passione per il calcio era anche una passione da tifoso? Cosa c'era di calcio nella sua stanza da bambino? «Tifoso sì, perché mio papà, mio fratello seguivano il calcio tutto il giorno, tifosi della Juve Stabia e del Napoli. Mio papà aveva due abbonamenti. Nella mia stanzetta c'era il poster del Napoli. In particolare quello di Maradona, naturalmente».

Che cosa è stato Maradona per Napoli, e per un bambino come lei? «È stato motivo di orgoglio aver avuto a Napoli un fenomeno del genere. Era una cosa troppo bella. Mio papà lo osannava in qualsiasi momento. Ci ha aiutato ad essere più orgogliosi di essere napoletani».

Si ricorda la prima volta che è entrato in uno stadio? «Era una partita della Juve Stabia, sicuramente. La domenica successiva mio padre mi portò al San Paolo».

E che emozione fu? «Fu bellissima. Guardavo la partita ma soprattutto guardavo tutto il contorno: i tifosi, i colori, il prato, le maglie. Fissavo le facce, le espressioni che la gente faceva ad ogni azione. Non posso dimenticarle. Ai miei tempi c'era solo "Novantesimo minuto" e bisognava aspettare le sei del pomeriggio per vedere i gol, una cosa inevitabilmente fredda. Invece allo stadio era tutto un susseguirsi di emozioni». 

E ricorda la prima volta che entrò in campo da giocatore in serie A? «Certo: avevo fatto l'esordio a diciassette anni con la maglia del Toro, in Torino-Piacenza. Nel secondo tempo mister Mondonico mi buttò nella mischia, da esterno sinistro, quasi terzino. Fu un'emozione incredibile perché non me l'aspettavo. Il giorno prima stavo con la Primavera e la sera mi chiamarono e mi dissero di andare in ritiro con la prima squadra. Poi mi aggiunsero che sarei stato in panchina con le riserve. Poi addirittura scesi in campo. Ero un ragazzo. Non capii più niente. Un diluvio di sorprese».

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