Seria A Torino, Ventura: «Il mio sogno è guidare la nazionale»

L'allenatore dei granata intervistato in esclusiva dal Corriere dello Sport: «Fare il ct sarebbe un onore tale che non si potrebbe paragonare al più redditizio dei contratti»
Seria A Torino, Ventura: «Il mio sogno è guidare la nazionale»© ANSA
Walter Veltroni
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ROMA - Giampiero Ventura, quando appare in televisione per commentare vittorie e sconfitte del suo Torino, parla di calcio come si dovrebbe. Con la passione e la serenità di chi lo vive come un lavoro, certo, ma anche di chi non ha perso la consapevolezza che è un gioco meraviglioso, fatto di persone, caso, sacrificio, talento. Insomma una pagina dell’avventura umana, che bisogna attraversare con senso dell’umorismo e con passione. Qui racconta la sua bella idea di calcio e il suo sogno di allenare la nazionale, convinto com’è che si possa aprire un ciclo importante con i giovani che si vanno affermando. E se potesse essere lui, dopo la bella esperienza di Conte, il nuovo Bearzot?

Le piacerebbe allenare la nazionale italiana?

«Altroché se mi piacerebbe. Mi hanno proposto di andare lontano, all’estero, per allenare una nazionale. Mi garantivano tanti soldi ma io non ho accettato. E le dico di più: se mi chiedessero, lo dico per fantasia, di scegliere tra il Bayern o il Chelsea e la Nazionale azzurra io non avrei dubbi. I soldi sono importanti, come sa chi non li ha o chi non li ha avuti, ma allenare l’Italia sarebbe un tale onore che davvero non sarebbe paragonabile con il più redditizio dei contratti. Le aggiungo una cosa: sono convinto che stia crescendo una generazione di giovani calciatori che potrebbero consentire alla nostra nazionale di aprire un ciclo come fu quello tra il 1978 e il 1982. Sono convinto che si potrebbe allestire una squadra che sappia fare risultati e bel gioco, programmando e selezionando, per i prossimi mondiali, il meglio della nuova generazione del calcio italiano».

Mi fa qualche nome?

«Ce ne sono tanti, in ogni ruolo. Dal portiere alle punte. Esistono le generazioni nel calcio, come le annate del buon vino. Sta per affermarsi una generazione piena di talenti. Se vuole dei nomi le posso fare quelli di Berardi, Zaza, Baselli, Benassi... Ma ce ne sono tanti altri, in A come in B. Conte sta facendo un ottimo lavoro ma forse per gli Europei alcuni di loro non sono pronti. Tuttavia si può programmare per i prossimi anni. Lo fecero Bearzot e Vicini. E poi Lippi nel 2006. E furono le nazionali più vincenti della nostra storia».

Chi è stato il talento più rilevante che ha avuto la possibilità di allenare?

«Forse la sorprenderà la mia risposta: Fabian O’Neill. Era un vero campione. Ma beveva, beveva tanto. Finché stette con noi, al Cagliari, si comportò da professionista. Prima e dopo un disastro. Alla Juve si accorsero della situazione e durò poco. Ma in campo, quando toccava la palla, accendeva la luce. Incarnava l’essenza del calcio. Non ha lasciato il segno perché, in lui , il calciatore e l’uomo si erano separati, erano entrati in conflitto. Un allenatore deve prendere per mano un ragazzo così e aiutarlo a ritrovarsi. E’ quello che facemmo con lui».

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