Fortnite: Epic Games accusata di pratiche commerciali "predatorie" a causa delle “Llama loot box”

La controversia sul problema delle loot box continua anche sul famoso titolo di Epic Games.
Fortnite: Epic Games accusata di pratiche commerciali "predatorie" a causa delle “Llama loot box”
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La modalità, peraltro gratuita, che ha reso famoso Fortnite, sparatutto in terza persona sviluppato da Epic Games, è la Battle Royale. Essa, come molti sapranno, presenta delle microtransazioni, ovvero la possibilità di fare acquisti in-game con denaro reale, al fine di ottenere oggetti cosmetici (come skin o accessori). Più specificamente, ciò che si acquista più frequentemente sono V-Bucks, una valuta virtuale che può essere spesa su articoli specifici; in poche parole, l’utente sa esattamente cosa sta comprando e quanto costa.

Ciononostante, Fortnite non è riuscito a sfuggire alla polemica riguardante le cosiddette “loot box”, ovvero delle “scatole” virtuali che l’utente può acquistare senza sapere cosa troverà al loro interno, avendo ogni loot box una certa probabilità di contenere un certo articolo. Attualmente Fortnite non presenta loot box di alcun genere; tuttavia, in passato, la modalità a pagamento “Salva il Mondo”, originariamente l’unica presente nel gioco, conteneva proprio delle loot box, sotto forma di piñata a forma di Lama (diventate poi iconiche per il titolo). Per questa ragione, una famiglia americana ha citato in giudizio Epic Games per pratiche commerciali “predatorie”, ovvero aggressive e scorrette nei confronti di particolari categorie di consumatori “deboli”, in questo caso i minori.

Fortnite infatti ha sempre avuto un’utenza con età media piuttosto bassa. La pratica predatoria consisterebbe nel fatto che queste loot box non avrebbero dato delle possibilità concrete agli acquirenti di trovarvi oggetti rari (e pertanto maggiormente desiderabili). Questo avrebbe generato in soggetti minori l’impulso a comprarne ancora, nella speranza di trovare articoli migliori. L’elemento più dubbio della vicenda riguarda l’eventualità che gli attori della domanda giudiziale conoscessero le percentuali di probabilità di ricevere ciascun oggetto dalla loot box, visto che non sono state rivelate dallo sviluppatore.

In ogni caso, e al di là della plausibilità delle ragioni dei genitori che si sono rivolti alla Corte, questo episodio non fa che confermare e inasprire le critiche riguardanti il sistema delle loot box, presenti su un ampio novero di videogiochi. La criticità maggiore riguarda la casualità degli oggetti trovati, che porta, insieme ad altri elementi, a far rientrare le loot box nell’ambito del gioco d’azzardo. Una vicenda esemplificativa è sicuramente quella che ha riguardato Star Wars: Battlefront II, in cui le loot box non si limitavano a rilasciare oggetti estetici, ma anche veri e propri potenziamenti per il proprio personaggio.

Non solo la community dei videogiocatori, ma anche alcune Autorità amministrative indipendenti di vari Stati hanno cominciato a interessarsi del problema: in Belgio, ad esempio, l’organo che si occupa della regolazione sul gioco d’azzardo ha giudicato come tali i pacchetti di giocatori acquistabili su FIFA 2018 Ultimate Team. Anche negli Stati Uniti la questione comincia a essere sentita, e la Federal Trade Commission stessa si appresta a degli approfondimenti per eventuali future modifiche legislative. Che ne sarà delle loot box? Spariranno progressivamente, o rimarranno solo per oggetti cosmetici? La situazione è tutta in evoluzione, ma viste le crescenti controversie, ci stiamo avvicinando certamente a un punto di svolta.

Servizio a cura di GEC - Giochi Elettronici Competitivi


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